Tempo di Sinodo per la Chiesa in Italia?

È innegabile che negli ultimi decenni la presenza dei cattolici nella costruzione della polis in Italia non solo si sia affievolita ma sia diventata afona.

La stagione del partito cattolico è ormai lontana e in verità nessuno nutre nostalgia verso di essa. E se c’è qualche voce che in questi giorni l’ha invocata, va detto con chiarezza che tale invito non è stato raccolto da nessuno e anzi ha destato perplessità o addirittura chiare opposizioni da parte delle voci più autorevoli della chiesa e del laicato cattolico. Un “partito della chiesa” o un partito dei cattolici non raccoglierebbe il consenso necessario per nascere e darsi una forma.

Certo, il problema resta. Ci sono ancora molti cattolici che vivono l’impegno politico, molti di più sono impegnati nella società in diverse forme che assicurano un contributo non secondario alla costruzione di una convivenza umanizzata. La loro voce, però, non è percepita come cristiana, ispirata dal Vangelo, e neppure in sintonia con la voce del papa e di alcune altre voci dell’episcopato, che non sono solo in una “posizione critica” ma esprimono chiare indicazioni sulle vie verso le quali dovrebbe muoversi la politica.

Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, leggendo in diversi interventi la crisi della democrazia italiana, ha chiesto ai cattolici di riscoprire la politica come vocazione, impegno di umanità a servizio del proprio paese. Pur precisando sempre che da parte dei vescovi non c’è nessun disegno né progetto di entrare nell’agone politico, Bassetti continua a invitare con forza i cattolici a darsi una soggettività eloquente e ad assumere la politica come una “grande missione civile”.

Proprio in questo dibattito sul “che fare?” da parte dei cattolici in Italia, è apparso sulla rivista Civiltà cattolica (2 febbraio 2019) un articolo del direttore, p. Antonio Spadaro, il quale tenta di porre delle domande sul legame tra fede e politica oggi in Italia, nella convinzione che i cristiani sono cittadini a pieno titolo di questo paese, concittadini di altri che percorrono vie diverse, ma sempre tese alla costruzione di una polis più umana. Significativamente, Spadaro ricorda le parole di Francesco in occasione dell’ultimo Convegno della chiesa italiana (Firenze, novembre 2015): in quell’occasione il papa invitava la chiesa italiana a mettere in moto i suoi doni, le sue competenze e il suo impegno nella costruzione della società, senza cercare “forme superate, oggi neppure culturalmente significative”.

Spadaro, ricordando il mandato del papa a Firenze e le parole del cardinal Bassetti, indica con molta forza che solo la sinodalità esercitata all’interno della chiesa potrà aiutarci al discernimento, a leggere la storia e l’attuale situazione italiana e a tracciare le vie per uscire dalla crisi. È chiaro che, con questa applicazione pratica, sinodalità significa coinvolgimento di tutto il popolo di Dio, partecipazione di tutti i battezzati e le battezzate alla vita e alla missione della chiesa, significa fare un cammino insieme: ma verso dove? Con quale obiettivo? Sì, “compito della chiesa è dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico” (papa Francesco), ma l’elaborazione di un progetto è un lavoro e un impegno a lungo termine e richiede un mutamento di paradigma nel vivere la fede cristiana nella società odierna. Non può ridursi a creare cammini di formazione, scuole di politica o di impegno sociale.

Proprio per questo, Spadaro giunge a porsi la domanda: “Che dunque stia maturando il tempo per un sinodo della chiesa italiana?”. Tale interrogativo ha suscitato alcune risposte di vescovi e in verità poche reazioni da parte di uomini e donne che, a causa del loro impegno, sarebbero stati autorizzati a reagire. Il vescovo di Rieti Domenico Pompili accoglie la proposta di un sinodo per l’Italia, giudicandola un’opportunità che potrebbe mostrare come il popolo di Dio e i pastori sappiano interpretare il cambiamento, decidere insieme e così dare un contributo per uscire dalla crisi della nostra società sfilacciata, mancante di un orizzonte comune e invasa da logiche incapaci di una convergenza di progetti e speranze. È intervenuto anche il vescovo di Palermo Corrado Lorefice, con un testo meditato e di alta qualità teologica. Egli ricorda che la sinodalità esprime la natura stessa della chiesa e non può quindi essere ridotta a un evento o a modalità di esercizio del potere. La chiesa deve innanzitutto sentirsi sinodo, vivere la sinodalità come stile quotidiano di cammino nel mondo verso il Regno. Non può semplicemente pensare a un sinodo come forma rinnovata di un convegno ecclesiale da celebrarsi per alcuni giorni. Occorre che la sinodalità diventi un’acquisizione estesa e matura, prima di attendersela da un’adunanza nazionale, che rischia sempre di essere espressione di “quadri”, degli addetti ai lavori, dei soliti fedeli già impegnati in organismi ecclesiali. E soprattutto, le domande di questo eventuale sinodo dovrebbero riguardare la fede, il modo di viverla oggi nel mondo in compagnia degli uomini e delle donne, solidali con loro; domande elaborate a partire da una grammatica umana – come tante volte ho scritto – della quale tutti avvertiamo l’urgenza.

Ci sono domande che la chiesa italiana deve porsi e alle quali deve tentare una risposta, per poter operare un discernimento dell’attuale situazione: come è possibile che i cattolici italiani si siano divisi tra quanti accettano di ascoltare il messaggio del Vangelo dei poveri e quanti invece con molta tranquillità lo rifiutano? Com’è possibile che i “cattolici del campanile” difendano i simboli cristiani, trasformino in un presidio l’eredità culturale cattolica e si facciano paladini della tradizione fino a criticare, anzi a contraddire il messaggio di papa Francesco sui bisognosi, i poveri, i migranti? E perché nel paese sono cresciuti la rabbia e il rancore, i nemici più grandi della fraternità, valore essenzialmente cristiano? Le domande riguardano dunque le fondamenta della vita della chiesa in Italia, prima di essere ricerca di risposte a situazioni sociali e politiche.

In vista di un eventuale sinodo per l’Italia, che richiederebbe non una preparazione di testi e di programmi ma una prassi di vita ecclesiale sinodale, perché non pensare a costituire nelle chiese locali dei forum, cioè degli spazi in cui tutti i battezzati che si sentono parte del popolo di Dio possano esprimersi in merito a una lettura della vita dei cristiani nel nostro paese, a un discernimento della loro fede e del primato del Vangelo accolto nelle chiese e nelle comunità? Perché non pensare a un confronto che giunga a delineare convergenze pre-politiche e pre-economiche, ossia ispirazioni provenienti dal Vangelo che poi i cristiani, con la loro responsabilità, potranno esprimere e realizzare nella polis insieme agli altri concittadini? Penso a un forum come spazio pubblico reale in cui i pastori e il popolo di Dio insieme, in una vera sinodalità, ascoltino ciò che lo Spirito dice oggi alla chiesa e facciano discernimento per trovare indicazioni e vie di evangelizzazione e di testimonianza, vie di edificazione della polis insieme agli altri uomini e donne.

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