Il futuro che vogliamo
È terribilmente facile ritornare barbari (Paul Ricoeur)
Le cattive idee hanno spesso un potere tremendo (Amartya Sen)
Un punto di svolta
Vi sono stati periodi nella storia recente in cui un mondo migliore è sembrato possibile. Oggi guardiamo al domani con diffidenza e paura.
Per riprendere in mano il nostro futuro vorremmo porre inizialmente cinque questioni fondamentali. La prima riguardante il futuro della democrazia, perché non siamo più certi di poter escludere rischi di involuzione autoritaria. Il secondo tema tocca il diffondersi di un orientamento preoccupante, che ci vede giorno dopo giorno impegnati a costruire muri piuttosto che a gettare ponti. Vi è poi l’affermarsi di identità che si chiudono, riproducendo quel nazionalismo che l’Europa ha conosciuto fin troppo bene nella prima metà del Novecento. Non siamo più così sicuri che quel passato non possa ritornare.
I regimi autoritari spesso nascono e si irrobustiscono attraverso l’individuazione di un nemico, facendo credere ai cittadini che i loro problemi dipendano da un colpevole esterno; se questo non c’è lo si inventa.
Ma quello che, come cristiani, più ci colpisce e ci amareggia è la progressiva perdita del sentimento di compassione, quell’identificazione nel dolore dell’altro che è alla radice della nostra umanità e senza il quale non possiamo veramente vivere.
Una Chiesa capace di imparare dalla storia
Di queste cose, come cristiani e come cittadini, vorremmo parlare, perché sentiamo profondamente le responsabilità imposte dal momento in cui ci troviamo. Siamo colpiti dal fatto che nelle comunità cristiane si parli troppo poco dei segni che accompagnano questi tempi, perciò abbiamo deciso di dire pubblicamente il nostro punto di vista. Non per imporlo, ma perché se ne discuta.
In questi anni le nostre chiese, anche quelle del Nord Est, si sono spesso ripiegate nei loro problemi interni; ma la storia non può rimanere fuori dalle chiese.
La Chiesa può avere una grande funzione nel costruire una società riconciliata, più civile e anche più sicura. Ma perché questo accada, c’è bisogno di una Chiesa aperta, in continuo dialogo interno e con il mondo, non ripiegata su se stessa. E’ difficile accettare che le nostre chiese si dividano in modo silenzioso su questioni evangelicamente, eticamente e civilmente rilevanti, senza un dibattito e una riflessione. Le nostre comunità sono ancora ferme all’idea che la pluralità delle opinioni sia un limite; invece è ricchezza nella vita della Chiesa.
C’è bisogno allora di dar vita a spazi in cui educarci reciprocamente a pensare il nostro tempo alla luce del Vangelo. Riconosciamo insieme che questi spazi oggi come oggi pressoché non esistono e che devono essere creati. Per farlo dovremo tentare almeno di deporre le armi; porci con un atteggiamento di dialogo argomentato e non urlato; accettare di confrontarci con i fatti e le conoscenze organizzate, non solamente con le opinioni.
Non possiamo allora non osservare che le premesse culturali ed etiche oggi manifeste in parole che si sperava di non sentire più o implicite in certe scelte politiche contraddicono apertamente, a nostro avviso, l’ispirazione evangelica e quei diritti (e doveri) fondamentali dell’uomo in cui riconosciamo anche i segni di tale ispirazione.
Risposte pericolose a una inquietudine giustificata
La radicalizzazione del conflitto politico e sociale attualmente in atto non è senza ragioni. Gli aspetti negativi della globalizzazione sono stati sottovalutati. La gente ha subito le conseguenze di processi oscuri, come la finanziarizzazione dell’economia e la crescita incontrollata di poteri economici sovranazionali, su cui non esercita alcun controllo. Ma certi rimedi possono essere peggiori dei mali e rivelarsi inadeguate.
Ecco alcune risposte che riteniamo carenti e pericolose.
Non si accetta la fatica di costruire un sistema di rappresentanza adeguato a una società complessa, ma si afferma l’idea che sia possibile saltare ogni mediazione, appellandosi direttamente e personalmente al popolo, svilendo parlamenti, autorità di garanzia, e organismi di rappresentanza. Il rapporto diretto leader-popolo è semplicistico e fuorviante.
Non si accetta una corretta relazione tra la decisione politica e le competenze tecnico-scientifiche con cui è necessario dialogare. Si privilegia l’idea semplicistica che la soluzione dei problemi vada trovata nel senso comune, così come interpretato dai leader politici di turno. Alla minaccia che siano i tecnocrati a governare si rischia di rispondere con l’inconsistenza e l’arroganza degli incompetenti.
A nostro avviso la politica deve ridiventare invece il modo normale con cui una società tenta di dare responsabilmente forma al proprio futuro e il potere va ricondotto al servizio del bene comune.
Una visione del futuro
Ciò premesso, riteniamo importante essere instancabili nel proporre e sostenere interventi e azioni che partano da una visione del futuro diversa da quella oggi prevalente.
Per questo intendiamo sottolineare alcuni temi rispetto ai quali sentiamo urgente indicare una prospettiva.
– Ambiente e salvaguardia del creato. Va perseguita la logica di uno sviluppo realmente sostenibile.
– Eguaglianza. Va favorita una più equa distribuzione del reddito.
– Contrasto alla povertà, agendo sul complesso delle cause e coinvolgendo le istituzioni e le comunità locali.
– Trasformazioni demografiche. La bassa natalità va contrastata, con un fisco e servizi a misura delle nuove generazioni e dunque delle famiglie con figli.
– Educazione. Si deve invertire la prolungata tendenza a trascurare la scuola nell’ordine delle priorità pubbliche, prendendo sul serio il compito di trasformare i ragazzi in cittadini.
– Economia e finanza: vanno sostenute e irrobustite imprese in grado di creare posti di lavoro qualificati e i mercati finanziari devono essere regolamentati diversamente.
– Emigrazioni. Per contrastare l’emorragia di giovani verso l’estero, va creato lavoro all’altezza delle aspettative delle nuove generazioni.
– Immigrazioni. Quelle provenienti dai paesi poveri derivano anche da una richiesta di manodopera per lavori non specializzati di cui ci sarà inevitabilmente bisogno anche nei prossimi decenni. Andrebbe perciò posto fine ai meccanismi prevalenti di ingresso irregolare in Italia, riaprendo i canali di immigrazione regolare per lavoro.
– Richiedenti asilo. Per gli attuali richiedenti la questione andrebbe risolta al più presto e in modo realistico, per il bene degli italiani e dei richiedenti stessi. Quelli rimasti nel Nord Est andrebbero stabilizzati. Per il futuro la riapertura di una via d’accesso regolare per lavoro renderebbe possibile riservare la via dell’asilo a chi davvero soffre la discriminazione e la guerra
– Integrazione. Specialmente per le seconde generazioni – i figli degli immigrati – vanno migliorati i percorsi di integrazione/inclusione, attraverso la scuola, le associazioni della società civile e il riconoscimento della cittadinanza.
– Cooperazione internazionale. Appare necessario pensare ai Paesi “poveri” non come oggetto di sfruttamento e mercato per le armi, ma come partner effettivi in uno sviluppo sostenibile.
Il futuro dell’Europa a un passaggio decisivo
Prima che l’Europa divenisse un miraggio tecnocratico e si riducesse ad essere “quella dell’euro”, essa è stata innanzitutto un progetto di pace e di unità politica. Sarebbe difficile e pericoloso rinunciare a questa speranza.
I cristiani più di altri non possono dimenticare che c’è stato sempre un rapporto speciale tra Europa e cristianesimo, un arricchimento reciproco anche quando la relazione è stata conflittuale.
Tutti i grandi problemi della nostra epoca non possono essere affrontati se non in una dimensione sovranazionale.
In questi anni di crisi, tuttavia, i cittadini hanno percepito l’Europa lontana, incapace di entrare nelle loro vite come una presenza che aiuta. A ciò bisognerà trovare dei rimedi, ma questi non possono che essere un rilancio del progetto europeo e una sua democratizzazione, non la sua disgregazione.
In molte regioni si è manifestato in questi anni un bisogno di identità e coesione a cui l’Europa non ha saputo dare risposte. Questa ricerca è positiva, nella misura in cui essa trova nell’Europa una ulteriore identità che consenta alla prime di esprimersi senza entrare in conflitto tra di loro.
Per tutte queste ragioni una politica orientata a ridimensionare il progetto europeo è rischiosa perché farebbe inevitabilmente emergere le antiche divisioni nazionali e regionali (una tendenza già in atto); è pericolosa perché condurrebbe a un impoverimento generale, è imprudente perché ci indebolirebbe rispetto alle grandi potenze extraeuropee.
A maggio si voterà per il rinnovo del parlamento europeo. Per la prima volta questo genere di elezioni influenzeranno in modo decisivo il nostro futuro. Perciò intendiamo impegnarci nel richiamare l’attenzione di tutti, specialmente dei cattolici, sull’importanza di questa scadenza e sulla necessità di prendervi parte in modo informato e consapevole della posta in gioco.
Fraternità, sussidiarietà, sicurezza
C’è un fondamentale senso di fiducia che occorre recuperare: fiducia in noi stessi e nella possibilità di influenzare le scelte politiche; fiducia nelle istituzioni, per migliorarle, non per distruggerle; fiducia nelle scienze e nelle competenze, senza alcuna delega, ma con molto dialogo; fiducia nell’altro e nella possibilità di relazionarci con culture diverse, riconoscendo la comune umanità e le specifiche ricchezze.
Oggi più che mai è necessario comprendere che il paese non è formato solo da singoli cittadini e dallo stato, ma anche da libere organizzazioni dei cittadini stessi. Esse rappresentano i luoghi di esercizio della fraternità nelle sue forme più immediate. Perciò non possono essere considerate come un corpo estraneo alla società. È quando queste libere organizzazioni sono vitali, ben integrate tra di loro e nello stato che il cittadino sviluppa senso di appartenenza e si sente sicuro.
Intendiamo esprimere e rendere pubbliche queste idee perché pensiamo che uno dei nostri compiti come comunità cristiane sia di farci carico della realtà e della speranza: vedere i segni dei tempi, individuare nella storia i motivi di speranza che ci richiamano alle nostre responsabilità e agire con fiducia.
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