Intervento conclusivo all’assemblea sinodale italiana
Secondo alcune fonti, domani ricorrono i 1.700 anni della dedicazione della Basilica di San Paolo, la prima Basilica, quella costantiniana, avvenuta il 18 novembre del 324 ad opera di Papa Silvestro I. È probabile che sia una data convenzionale, ma questa simbolica coincidenza ci fa apprezzare ancora di più il senso della nostra Assemblea.
In questi tre giorni, ci siamo inseriti in una grande corrente: 17 secoli di ininterrotta vita cristiana che ha trovato qui, sotto la protezione di San Paolo, tutte le sue espressioni: celebrazioni liturgiche e sacramentali, annuncio, predicazione e catechesi, incontri personali e assemblee comunitarie, accoglienza dei poveri e ospitalità dei cercatori di speranza, presenza orante e ministero dei monaci benedettini. Sembra così di rivivere, in questi giorni e in questo luogo, l’esperienza della prima comunità di Gerusalemme, subito dopo la Pentecoste, con le loro quattro perseveranze: nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli, nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.
L’eccezionale ambientazione della nostra Assemblea – ringraziamo ancora una volta chi ha organizzato e chi ci ha accolto – è dunque già un messaggio sinodale. Abbiamo non solo ricordato, ma sperimentato che la Chiesa sinodale, per essere missionaria, deve restare immersa in Cristo: il Cristo gigantesco che domina l’assemblea, nel mosaico absidale del XIII secolo, come ha già ricordato il Card. Matteo Zuppi, è il senso del nostro convenire e del nostro camminare insieme. E l’immersione della Chiesa nel suo Signore si rinnova proprio nelle quattro dimensioni dell’esperienza cristiana, che sono dimensioni pasquali: è infatti nella predicazione della Parola, nella celebrazione dei misteri, nella vita fraterna e nelle preghiere che il Risorto si rende presente, nello Spirito, alla Chiesa di ogni epoca.
È per il fatto di avere assaporato questa esperienza che registriamo oggi una gioia profonda tra di noi. Gioia per avere insieme celebrato, pregato, interagito; per avere potuto confrontarci liberamente: allo stesso tavolo donne, uomini, presbiteri, Vescovi, laici, consacrati e consacrate, giovani e anziani, delegati provenienti da tutte le zone della Penisola (tutte le Diocesi sono rappresentate) e persone di diversa formazione, sensibilità, ruolo. Abbiamo sperimentato, sebbene rapidamente, la bellezza di essere “popolo profetico”. Questo è il Cammino sinodale, prima ancora e forse più ancora che un testo scritto. Un testo, certo, sarà necessario: lo dovremo discutere e votare nella Seconda Assemblea sinodale e nella prossima Assemblea Generale della CEI; ovviamente non potrà contenere tutti i temi pastorali e sociali – grazie perché anche questa mattina ne sono emersi tanti – ma dovrà tenerli presenti, perché costituiscono l’orizzonte missionario sul quale si deve misurare la riforma delle nostre Chiese; se a qualcuno sembra che gli argomenti proposti nelle schede siano troppo intra-ecclesiali è perché il Cammino sinodale si snoda su ciò che deve “cambiare” dentro la Chiesa, per poter camminare più speditamente con l’umanità del nostro tempo, cogliendo i frutti dello Spirito e annunciando il Vangelo di Gesù in maniera più snella. Il testo finale dunque non potrà essere un corposo manuale di temi pastorali, ma un tentativo di sbloccare alcune pesantezze che ora ci affliggono, perché siamo feriti dal peccato.
Come tante volte ci siamo detti, e il Papa stesso ci ha rammentato fin dall’inizio, è l’esperienza sinodale a doversi incidere in maniera indelebile nelle nostre Chiese: stili e prassi sinodali sono e saranno i frutti più significativi di questo Cammino.
Alcuni segnali ci sono e sono testimoniati dalle sintesi diocesane di questi anni. Prima di tutto lo stile dell’ascolto, che con il metodo della “conversazione nello Spirito” prende avvio dalla Parola di Dio, che dispone all’ascolto degli altri; uno stile che, adattato, potrà connotare il nostro convenire a tutti i livelli: dagli Organismi di partecipazione alle riunioni degli operatori pastorali; questo doppio ascolto all’inizio di ogni riunione permetterà di proseguire con maggiore scioltezza e concretezza nel confronto e nel dialogo tra i partecipanti.
In secondo luogo, lo stile del dialogo, proposto in modo laboratoriale nei Cantieri di Betania, che sono stati e sono esperienze di incontro anche con i “mondi” non sempre interagenti con quelli ecclesiali: le diverse povertà materiali, relazionali, spirituali; i mondi delle professioni e del lavoro, come artisti, imprenditori, agricoltori, giornalisti, docenti, operai e così via.
In terzo luogo, lo stile della partecipazione: in non pochi casi, le sintesi delle nostre Chiese locali hanno registrato la riattivazione dei Consigli pastorali parrocchiali, zonali e diocesani, che, dovendo corrispondere alle richieste provenienti dal Cammino sinodale, si sono nuovamente riuniti e in alcuni casi anche formati ex novo. Rinnovati secondo le indicazioni del Sinodo universale, sono strumenti importanti per la Chiesa sinodale in missione.
Cito un ultimo elemento di stile – ma ce ne sarebbero altri – che forse va detto per primo: il Cammino di questi tre anni ci ha dotato, potremmo dire, di una vista più profonda; ci ha abituato a scrutare le pieghe della nostra storia, cogliendo con umiltà sia le ferite dentro e fuori la Chiesa, sia i raggi di speranza e di vita, che abitano il quotidiano delle case e delle strade e che spesso restano sepolti sotto la coltre delle cattive notizie. Anche in questi giorni, ai nostri tavoli, abbiamo fatto circolare esperienze belle e positive, autentiche spie della crescita del Regno di Dio nel nostro tempo. Sono solo germogli, ma la sfida della ricezione sinodale sarà poi quella di sostenere questi stili perché diventino strutturali nelle nostre Chiese.