La situazione attuale dl punto di vista politico istituzionale

Intervento all’incontro dei promotori del 22 giugno 2024

1. È lecito chiedersi, dopo due anni di governo italiano di destra-centro, in un contesto europeo segnato dal recente risultato delle elezioni per il parlamento europeo, che ha visto una consistente affermazione dei partiti destra, se ci sono pericoli per l’assetto democratico disegnato dalla nostra Costituzione? Non genericamente per la democrazia, ma ripeto per la democrazia disegnata in Costituzione.
La democrazia disegnata in Costituzione si fonda sui principi affermati negli artt. da 1 a 11 ed è caratterizzata dalle libertà e dai diritti affermati nella prima parte. L’’assetto istituzionale della Repubblica deve essere funzionale a realizzare il rispetto di quei principi e la tutela delle libertà e dei diritti. Non vi può essere contraddizione tra la prima parte e il modo con cui si costruiscono le istituzioni, quest’ultimo non è neutro rispetto alla possibile realizzazione effettiva di quanto prescritto nella prima parte.
L’ordinamento originario della Repubblica si caratterizza per il potere diffuso e non accentrato, per la centralità del parlamento rispetto al governo, per le autonomie territoriali in un quadro di unità solidaristica, per la presenza di istituzioni di garanzia, in particolare la magistratura, per i limiti posti alla stessa sovranità popolare e dello Stato, limiti interni, il rispetto dei diritti e delle libertà, ed  esterni ai sensi dell’art .  11 della Costituzione.
In realtà questo disegno in molti aspetti nel corso dei decenni trascorsi è stato contraddetto dalle prassi, da quella che alcuni chiamano la costituzione materiale. Da tempo il Parlamento non è più centrale e il potere legislativo è nei fatti esercitato dal governo, non solo con il ricorso alla decretazione d’urgenza, ma con il costante restringimento degli spazi di discussione dei disegni di legge. In un articolo pubblicato sul Sole 24 ore del 7 giugno 2024, a firma di Marco Rogari, si riportano alcuni dati significativi, di fonte Servizio studi di Montecitorio, che dimostrano come il Parlamento abbia già da alcune legislature perso molto del terreno delimitato dalla Costituzione a vantaggio del governo, dal quale arrivano crescenti ondate di decreti legge.  Di iniziativa del governo sono oltre i 2/3 delle leggi licenziate dalla camera. L’articolo segnala inoltre il fenomeno del monocameralismo alternato: nei primi diciotto mesi di legislatura tutti i decreti-legge e il 92% delle leggi sono state discussi in una sola Camera, rimanendo all’altra solo l’approvazione senza modifiche.
Non si tratta solo di questo. È il caso di ricordare anche il procedimento di approvazione della legge di bilancio, una delle leggi più importanti che riguardano la vita della Repubblica, da anni presentato dal governo, di qualsiasi colore, in prossimità della scadenza e con la sistematica proposta della questione di fiducia.

2. Da anni il tema dominante è quello del rafforzamento del potere di governo, nella convinzione molto diffusa che la soluzione politica ai problemi della società attuale richieda soprattutto rapidità nelle decisioni e riduzione degli spazi di discussione, di confronto e di compromesso. Non si vuol negare che l’Italia abbia da sempre un problema di debolezza dei governi, in relazione alla breve durata di essi e alla capacità di condizionamento dei piccoli partiti all’interno di coalizioni più ampie. Ma questa caratteristica potrebbe essere spiegata, anziché con l’inadeguatezza del meccanismo istituzionale, con ragioni politiche, come la dispersione e frammentazione dei partiti e con l’incapacità di operare sintesi efficaci. In ogni caso anche sul piano dei rimedi istituzionali si possono pensare soluzioni efficaci per rafforzare il governo, che non arrivino a stravolgere l’equilibrio costituzionale tra governo e parlamento, già compromesso nei fatti come abbiamo visto.
La proposta del c.d. premierato ribalta il rapporto costituzionale originario governo parlamento; dietro di essa si intravede una concezione della democrazia ridotta all’elezione periodica di un capo.
La preoccupazione è legittima, soprattutto se nulla si dice sul sistema elettorale che dovrà accompagnare la riforma. Un’altra conseguenza è che si perderà il ruolo del Presidente della Repubblica, una volta che questi sia privato del potere di nomina del Presidente del Consiglio.
In proposito Sylvie Goulard, presidente dell’Istituto franco-tedesco di Ludwisgburg vicino a Stoccarda, commentando in un’intervista al Corriere della Sera dello scorso 12 giugno criticamente la decisione del Presidente francese Macron di sciogliere l’assemblea nazionale e di andare a breve a nuove lezioni, ha fatto notare come quella decisione presa, prima ancora dei risultati definitivi e tenendo all’oscuro persino il premier Gabriel Attal, mostri i rischi del sistema francese, “con un’elezione diretta che dà tutto questo potere, anche discrezionale, a un solo leader”. Aggiungendo: “Da francese ho sempre ammirato il vostro sistema, con un presidente della Repubblica sopra le parti che assicura stabilità e sguardo a lungo termine. Ci pensino gli italiani, quando riflettono sul premierato. Le elezioni dirette esaltano l’ambizione dei singoli, ma poi rendono difficili le coalizioni e gli accordi politici sul fondo dei problemi”.

3.  Le autonomie territoriali sono pensate e scritte in Costituzione come una modalità di estensione della democrazia, di non concentrazione del potere, tuttavia in quadro di unità, richiamato dall’art. 5, “La Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali….”.
Inoltre, non vanno dimenticati i principi solidaristici espressi in Costituzione, quello dell’art. 2 sui doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, e quello dell’art 3 capoverso 2 sul compito emancipatorio della Repubblica. Per venire alla discussione attuale sulla legge di recente approvazione sulla autonomia differenziata, il principio costituzionale dell’autonomia non può essere considerato prevalente sui principi appena richiamati, perché, come osserva Michele Ainis su Repubblica del 20 giugno, le democrazie costituzionali sono pluraliste e i principi costituzionali si tengono in reciproco equilibrio. Questo equilibrio forse è stato indebolito anni fa, nel 2001 quando è stata approvata la riforma del titolo quinto della Costituzione, ampliando l’elenco delle materie di legislazione concorrente Stato Regione, in relazione alle quali è stata prevista la possibilità per le regioni di chiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Sulle conseguenze della recente riforma le opinioni sono polarizzate, come del resto sugli altri temi istituzionali in discussione, ma i timori che alla fine si tratti di una riforma che aumenterà le disuguaglianze rimangono forti. Peraltro, molti osservatori hanno fatto e fanno notare da una parte come in realtà il percorso previsto dalla legge per ottenere da parte delle Regioni questa forma di ulteriore autonomia sia molto lungo e complicato (così Paolo Becchi sul Sole 24 ore del 15 giugno La legge Calderoli è veramente un aiuto per l’autonomia differenziata? Ma anche Paolo Feltrin in una conferenza del gennaio 2024 riportata nella News Letter del Forum di Limena del marzo 2024) e dall’altra come le risorse da destinare al finanziamento di essa siano scarse se non inesistenti.

4.  Un elemento della democrazia disegnata in Costituzione è costituito dalle istituzioni di garanzia, a cui spetta la tutela dei diritti e delle libertà delle persone, e tra queste alla Magistratura, l’ordine dei funzionari pubblici preposti all’amministrazione della giustizia.  Di quest’ordine la Costituzione stabilisce l’indipendenza e l’autonomia e ne prevede un governo autonomo, il Consiglio Superiore della Magistratura, a composizione mista, magistrati, eletti dai magistrati, e giuristi eletti dal parlamento in seduta comune, nella proporzione di due terzi, magistrati, e un terzo, eletti dal parlamento. Dunque, un organo democratico e pluralista.
Dell’ordine giudiziario fanno parte sia i magistrati giudicanti sia i magistrati requirenti, i pubblici ministeri, a cui la costituzione riconosce il medesimo status di indipendenza e autonomia.
Su questo aspetto essenziale della concezione costituzionale originaria interviene il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere. Che propone di creare due ordini, in luogo dell’unico ordine giudiziario, l’ordine dei giudici e l’ordine dei pubblici ministeri, ciascuno dotato di un Consiglio superiore, composto da magistrati e da giuristi, individuati tramite sorteggio.  Il disegno di riforma mostra di non considerare le ragioni della scelta del costituente del 1948 per un organo elettivo, quindi democratico e pluralista, e l’importanza di queste caratteristiche ai fini di un governo autonomo, chiamato a garantire e tutelare l’autonomia e l’indipendenza, della magistratura e di ogni magistrato. A mio avviso, la difesa del carattere rappresentativo della magistratura si lega alla questione più generale della democrazia, perché sono legittime diverse visioni dell’attività giurisdizionale all’interno dei principi costituzionali che la caratterizzano, così come sono legittime diverse visioni delle funzioni pubbliche, sempre all’interno dei principi costituzionali, senza che una debba prevalere definitivamente sull’altra.
Sulla questione della separazione delle carriere dei magistrati giudicanti e requirenti sono ovviamente legittime le opinioni diverse, vi sono apprezzabili ragioni per essere favorevoli e altrettante per essere contrari. Tra queste ultime ne andrebbe considerata la seguente. Una volta separato dall’unico organo giudiziario, l’ordine dei pubblici ministeri, dei funzionari cioè titolari dell’azione penale, capaci di iniziativa investigativa, non potrebbe rimanere a lungo senza un riferimento istituzionale di controllo. L’esperienza degli altri paesi a noi vicini, dove vige la separazione, insegna che questo riferimento viene alla fine trovato nel potere politico, Parlamento o, più probabilmente, Governo.

5. Lasciando il piano delle riforme istituzionali, faccio qualche breve osservazione sull’azione di governo in tema di ordine pubblico, sicurezza e diritto penale. Metto insieme cose diverse per ricavarne qualche considerazione.
Questo è un tempo in cui sono riprese, peraltro in misura molto contenuta rispetto ad altri paesi come la Francia, le proteste soprattutto dei giovani. Manifestano per la Palestina, per il dissesto climatico. La risposta governativa è stata in qualche occasione di pura repressione, ricordo le cariche della polizia a Pisa di qualche mese fa’. Ma al di la di questo o di simili, peraltro limitati, episodi, è sembrato di cogliere nell’atteggiamento almeno di alcuni esponenti di governo di fastidio per le proteste. Si deve allora ricordare che la manifestazione del pensiero e la libertà di riunione in luogo pubblico sono diritti riconosciuti in Costituzione, il cui esercizio non dipende dal contenuto delle idee che si manifestano e meno che mai dal gradimento o meno di esse da parte delle variabili maggioranze del momento.
Ad alcune manifestazioni di forte protesta in tema di dissesto climatico, come quelle messe in atto dagli attivisti di next generation, il Governo ha risposto con la previsione di nuovi reati e l’aggravamento della pena in altri reati già esistenti.
La stessa strada di nuove reati e pene più gravi è stata scelta per il verificarsi di fatti anche gravi maturati in situazioni di degrado e marginalità sociale. Senza reale necessità di tale inasprimento.
Per restare nel campo del diritto penale, all’inasprimento punitivo nelle materie citate si accompagna l’opposto orientamento nella materia dei reati contro la pubblica amministrazione, con l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, con il forte ridimensionamento del traffico di influenze, con la compressione dello strumento di indagine costituito dalle intercettazioni telefoniche, dalla limitazione alla conoscenza pubblica dei provvedimenti giudiziari.
Infine, non certo per importanza, il tema del carcere. Le condizioni di degrado umano di molti istituti, la frequenza impressionante dei suicidi di detenuti, la frequenza degli episodi di violenza in danno dei detenuti ad opera degli agenti di polizia penitenziaria, anche in istituti minorili, non hanno prodotto finora nessuna iniziativa significativa da parte  di governo e maggioranza parlamentare.
Tutto questo deve costituire allarme democratico? Forse è esagerato trarre questa conclusione. Certo segnala l’incapacità di vedere  la realtà  e di rispondere  in modo da migliorare davvero la qualità della convivenza civile.