La forza distruttiva delle guerre e quella faticosa del confronto

Sintesi della discussione nell’incontro dei promotori del 3 febbraio 202

C’è un prezioso lavoro che il forum fa, con la newsletter, con il sito e con la periodica convegnistica.
Un compito che si avvale di competenze e impegno, che vanno possibilmente mantenuti e ampliati ulteriormente, che ci ha consentito di allargare e approfondire la riflessione su quanto sta avvenendo intorno a noi.
L’attenzione in questo momento va in particolare ai conflitti aperti in diverse parti del mondo, non solo in Ucraina e in Palestina. In Palestina, in particolare, va in scena una violenza, che accomuna le parti, che evoca e rinfocola reazioni e paure e interpella anche noi.
La globalizzazione e le asimmetrie che l’accompagnano, hanno generato riflussi identitari e particolaristici, spesso aggressivi,  anche a livello religioso, anche tra cristiani.
Tocca scuotere le nostre comunità e le nostre chiese, apatiche e prese da altro.
Tocca aiutare tutti a fare i conti con la complessità dei processi, reagendo a semplificazioni, a derive identitario-localistici, a massimalismi e a radicalizzazioni. Prospettive, tossiche e sterili.
Un approccio realistico impone di fare i conti con  “il male”.
Considerare che la pace e la sicurezza di cui abbiamo goduto negli ultimi decenni, sono dipese a ben vedere anche da scelte politico-militari precise, come quelle fatte dagli USA, a beneficio Paesi come il nostro.
Le democrazie, le guerre e le bombe. Anche i paesi democratici fanno guerre e possono fare errori anche gravi, rimanendo tali (vedi Israele).
C’è una insidiosa e discutibile disistima di fondo nei confronti dei “valori” occidentali, un cortocircuito tra le giuste critiche alle politiche, spesso ipocrite, e i valori che informano l’occidente (diritti individuali e democrazia).
Il dibattito dentro alla chiesa cattolica su questi temi si è polarizzato.. Alla doverosa esortazione alla pace del papa, che richiama anzitutto l’attenzione sulle vittime della guerra, corrisponde la divisione tra cattolici, tra chi assolutizza il richiamo e chi si interroga su come concretamente realizzare la prioritaria attenzione alle vittime.
Stare dalla parte delle vittime, capire le ragioni degli altri, cercare vie di soluzione concrete, questa  è la grande sfida. Una difficile vicinanza a chi vive i conflitti, eppure necessaria per favorire il dialogo tra le parti. Significa mettersi nei panni dell’ altro, far proprie le sue ragioni, condividerne il dolore, prima di giudicare e di fare il necessario discernimento.
Se con la guerra tutto è perduto che si fa in caso di aggressioni, con tutto quel che mettono in gioco? Resta il diritto umano alla difesa, che nemmeno il papa nega. La profezia è prevenire i conflitti e contenerne l’allargamento e su questo un ruolo particolare tocca all’Europa.
La vita come valore assoluto, da cui il rifiuto della guerra anche di difesa, comporterebbe una intollerabile asimmetria etica, tra aggressore e aggredito, togliendo spazio a qualsiasi tipo di diritto internazionale e alla nozione stessa di crimini di guerra.
C’è bisogno di riprendere, anche come forum, la dottrina classica della legittima difesa e ciò che sta avvenendo dentro il mondo cattolico.
Un approfondimento anche teologico delle polarizzazioni interne, strascico forse di una chiesa di ambiente, senza Vangelo, senza coerenze e senza domande. In ritardo sul concilio e con pratiche religiose anacronistiche, per non perdere un certo tipo di fedeli.
Ci sono nodi morali, individuali (nuovi diritti) e collettivi (pace e guerra), irrisolti, dentro la chiesa.
I valori assoluti, non negoziabili, sono tipici delle culture di destra: Dio, Patria, Famiglia.
Occorre cautela su questo piano, anche per la pace, così come per la bioetica (aborto e fine vita). I limiti invalicabili restringono gli spazi delle relazioni e del confronto.
Bisogna lavorare alla formazione al dialogo, a livello ecumenico e non solo, che accompagni il cambiamento. La responsabilità dei nostri ambienti educativi di formare al multiculturalismo e alla pace.
Percorsi di pace educativi e culturali, ma anche esperienze concrete, oltre quelle “di prossimità”: i corpi civili di pace e la pressione sugli Organismi Internazionali. Serve un nuovo ordine internazionale, che delimiti, regoli e superi i conflitti. Una barriera al ricorso distruttivo alle armi atomiche. Un’esorcizzazione che per i credenti comprende invocazione, pratiche culturali-educative e pressione politica.
Serve forse più attenzione alla geografia, ai fenomeni, che alla geopolitica, un esercizio spesso autoreferenziale e fuorviante.
Ricorrono delle costanti impressionanti nei conflitti in corso, non solo in Ucraina e Palestina, ma anche in Sudan e in altri paesi africani. In queste guerre sono in gioco il corpo, delle città, delle donne, del pianeta.
Guerre urbane (Bakmut, Khartum, Gaza) un fenomeno non nuovo (Dresda, Hiroshima e Nagasaki, Sarajevo, Aleppo..): La Pira spingeva per un’alleanza delle città, contro la violenza degli Stati, una geografia alternativa.
Gli stupri, profanazione e impregnazione delle donne, riflesso di na cultura maschilista pervasiva, violenta, che va radicalmente rielaborata a tutte le latitudini.
Il pianeta devastato dalla guerra, anche senza l’incubo del nucleare, che si aggiunge ai drammatici cambiamenti climatici.
Corpo e anima. Un processo autodistruttivo, dai toni e dalle inconsce implicazioni di tipo messianico. Una memoria vendicatrice, impressa nella mente, che richiede un processo di oblio. Un convenzionale terzo tempo, dopo e oltre il conflitto.
I giovani appaiono portatori ancora di futuro e di ottimismo, risorse scarse ma necessarie.