Abituati a pensare la pace come un dato permanente, eravamo ormai abituati a considerare le religioni come attori di pace. Ciò, diversamente da come venivano concepite un tempo.
Oggi, viceversa, osserviamo un peso crescente di fattori religiosi nei drammatici conflitti in corso, sia che li preparino, sia che li legittimino e rinforzino. E ci chiediamo: si tratta di una novità o di un ritorno? Che cosa c’è di nuovo in tutto questo?
Da una parte le religioni paiono – o parevano – svolgere un ruolo di positiva pacificazione; dall’altra le credenze religiose si costituiscono come un fattore di scontro, anche violento e rendono più difficile trovare vie di pace. Ciò avviene a seguito del prorompente dilagare di forme di fondamentalismo e di integrismo politicamente attive, che vivono senza mediazioni possibili della contrapposizione amico-nemico e di quella tra bene e male.
Il conflitto non è solo esterno alle religioni, ma è anche interno, per cui esse stesse si presentano come un “campo di battaglia”, nel quale posizioni oltranziste, che rifiutano il dialogo e non disdegnano il conflitto armato, si contrappongono a componenti moderate che cercano di costruire la pace attraverso forme di dialogo interreligioso.
Se, in questo particolare momento, si prova a stendere un grossolano bilancio è difficile evitare l’impressione che le componenti radicali abbiano una influenza maggiore di quelle moderate. Tanto che si potrebbe forse parlare di un contributo netto delle religioni alla “terza guerra mondiale”. Le componenti moderate appaiono infatti in difficoltà a trovare parole efficaci di pace, mentre i fondamentalismi non hanno difficoltà a rinvenire risorse, non solo “spirituali”, dagli attori politici che oggi appaiono decisi a ridefinire l’ordine mondiale senza troppe attenzioni per i rischi per la pace globale.
I gruppi religiosi radicali erano un tempo largamente minoritari. Oggi la loro presenza si è allargata di molto. È doveroso chiedersi perché ciò sia avvenuto e se sarebbe stato possibile sviluppare adeguati anticorpi. Per le chiese e le religioni il problema è anche (ri)fare i conti con il permanere di idee contrapposte su ciò che Dio è e vuole, e sui modi in cui i credenti devono essere presenti nella storia. Sapendo che la questione non riguarda solo le altre religioni, riguarda lo stesso cristianesimo, se non altro perché è qui che è nato il moderno fondamentalismo. Che risposta si può dare su questo piano?
Questi sono i temi su cui intendiamo riflettere, come al solito in modo aperto e franco, nel convegno che si terrà il 20 di aprile, oltre che, naturalmente, sulle altre domande inevitabili, quelle che riguardano i modi in cui la nostra chiesa sta reagendo alla nuova situazione e alle reali possibilità di “costruire la pace”, quella possibile almeno.
Annunciamo già che con un prossimo numero della nostra News Letter presenteremo degli appunti preparatori al convegno più articolati di quanto fosse utile fare qui, ora.