Signor Macron, in questo periodo natalizio così doloroso per i palestinesi di tutte le fedi, lei ha inviato a noi cristiani di Palestina un messaggio di solidarietà e sostegno. In un comunicato dell’Eliseo pubblicato il 24 dicembre – nella notte buia in cui è avvenuto l’ennesimo massacro a Gaza, nel campo profughi di Maghazi, costato la vita a più di 70 persone – lei ha espresso la sua preoccupazione e il suo sostegno parlando al Patriarca latino di Gerusalemme.
In questo comunicato lei ci ha definiti “cristiani di Terra Santa”. Ripetutamente, come se avesse paura che le persone la fraintendessero. Questo è uno strano abuso di linguaggio, una vaghezza che mi ha lasciato perplesso. Noi siamo – e questo è il modo in cui scegliamo di definirci, ma è anche la nostra realtà storica – cristiani palestinesi, che partecipano a ciò che costituisce la nazione palestinese.
Una religione i cui miti fondativi sono nati qui
Signor Macron, cosa pensa di ottenere scegliendo di nominarci in modo sbagliato? Perché ha scelto, in questo periodo dell’anno, di separarci dalla nostra nazione? Questo abuso di linguaggio, signor Macron, è spaventoso. Fa sparire la nostra cultura e le nostre tradizioni, con un colpo di mano e una disattenzione che ci sgomenta in questo lugubre Natale.
Pratichiamo una religione i cui miti fondativi sono nati qui, a Betlemme, in Palestina: non a Roma, non a Costantinopoli, non a Mosca, e ancor meno a Parigi o a Washington. Alcuni non esitano a chiamarci “pietre vive della Chiesa”. Non siamo i praticanti di una religione straniera in una terra astrattamente santa.
Siamo praticanti di una religione la cui storia primordiale è quella di un ebreo che vive sotto il giogo di un’occupazione; e che è incentrata sulla sua nascita luminosa, e poi sulla sua morte per mano di un impero e dei suoi esecutori.
Un abuso della lingua che ci rende stranieri nella nostra terra
Pratichiamo questa religione sotto occupazione e in un sistema di apartheid che condiziona la possibilità di accesso ai nostri luoghi santi, la sopravvivenza della nostra cultura e le nostre vite.
Questo abuso del linguaggio ci rende stranieri nella nostra terra e nel nostro Paese. È solo uno dei tanti modi utilizzati dalle grandi potenze – di ogni parte – e da Israele, per riconfigurare la Palestina in una questione essenzialmente religiosa.
Questo approccio è conveniente, perché presuppone una forma di essenziale inconciliabilità tra ebrei e musulmani; oscura le realtà materiali dell’occupazione, della colonizzazione, dell’apartheid e fa scomparire la questione della giustizia politica dietro la nebbia religiosa di un’opposizione apparentemente fratricida e secolare.
Il prezioso contributo dei cristiani palestinesi
Noi, cristiani di Palestina, aggiungiamo complessità a questa visione falsa e riduttiva. È questo il motivo per cui sceglie di darci un nome sbagliato? In questo modo sta nascondendo l’importante e inestimabile contributo dei cristiani palestinesi alla Palestina. Per citarne solo quattro, tra centinaia: Shireen Abu Akleh, reporter palestinese di Al Jazeera e una delle più grandi voci del giornalismo palestinese, assassinata dall’esercito israeliano con un proiettile alla testa. Edward Said, un grande ricercatore e intellettuale il cui contributo alla storia del pensiero è monumentale. Sainte Marie-Alphonsine Danil Ghattas – fondatrice della congregazione araba delle Suore del Santo Rosario di Gerusalemme dei Latini – e santa Mariam Baouardy, mistica palestinese.
Preoccupazione per le vite umane perse nella parrocchia latina di Gaza
Contribuiamo alla religione, alla politica, alla letteratura, alla musica, alla pittura, alla società e alla resistenza palestinese. Che strano modo di proteggerci, l’aver scelto di cancellarci dalla mappa in questo modo. È vero che sono decenni che lasciamo la Palestina in massa.
Come può ben immaginare, vivere sotto occupazione è un inferno. L’oppressione che ci spoglia di ogni dignità, di ogni sicurezza, di ogni libertà e di ogni prospettiva di vita realizzata ci fa fuggire. Eppure non siamo meno palestinesi.
Ha ragione ad esprimere la tua preoccupazione per le vite perse a causa dei proiettili israeliani nella parrocchia latina di Gaza. Sono devastanti e non sono di buon auspicio per i palestinesi che ancora si rifugiano in questo convento, come in innumerevoli altri luoghi a Gaza: case, scuole e ospedali. Lo abbiamo visto bene, lo ha visto bene, negli ultimi mesi: non c’è un solo posto sicuro a Gaza. Ha perfettamente ragione.
Le comunità cristiane di Gaza rischiano di scomparire
Le nostre vite sono preziose. Eppure non sono più preziose delle vite degli oltre 20.000 palestinesi massacrati dalle bombe israeliane. Ogni morte è un’umiliazione. Per non contribuire alla nostra cancellazione e alla nostra distruzione, dite: cristiani palestinesi; dite: cristiani di Palestina.
Il 20 ottobre, i bombardamenti israeliani hanno ucciso almeno 16 persone che si rifugiavano nella chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, la più antica chiesa attiva di Gaza. Sono stati assassinati perché erano palestinesi. Le due donne assassinate la settimana scorsa nella parrocchia latina sono state assassinate perché il loro crimine era quello di essere palestinesi.
Le comunità cristiane di Gaza, già minuscole, corrono ora il rischio di scomparire per sempre. Il Natale celebra la luce abbagliante che irrompe nell’oscurità dell’inverno e dell’occupazione. In questo periodo dell’anno è difficile, se non impossibile, immaginare quella luce. Ieri, durante la messa di mezzanotte a Betlemme, ben difficilmente potevamo immaginare che saremmo usciti da questa notte.
Un appello per un cessate il fuoco immediato
Lei, come molti altri leader, sta contribuendo con il tuo compiacimento alla continuazione del massacro e dell’oppressione a Gaza, in Cisgiordania e in Israele. Se è dalla nostra parte, signor Macron, inizi col nominarci. E se è solidale con noi, allora chieda un cessate il fuoco immediato.
Se è all’altezza di quella che considera la missione storica della Francia di proteggere i cristiani di Palestina, allora chieda la fine dell’apartheid – di cui i cristiani palestinesi sono vittime tanto quanto tutti i palestinesi.
Solo così si può sperare di preservare ciò che resta di noi in questa terra un tempo santa, ora insanguinata e in lutto, immersa in una notte dalla quale non si vede più la via d’uscita. Signor Macron, questa è la sua responsabilità: deve chiamarci con il nostro nome.
*Karim Kattan è uno scrittore palestinese, nato a Gerusalemme. Scrive in inglese e francese. Il suo primo romanzo, Le Palais des Deux Collines (“Il palazzo delle due colline”), è stato pubblicato da Elyzad nel 2021 e ha vinto il Prix des Cinq Continents de la Francophonie quello stesso anno. Il suo prossimo romanzo, L’Eden à l’Aube (“Eden at Dawn”), sarà pubblicato nel 2024.