Ho dipinto la pace
Talil Sorek, israeliana
Avevo una scatola di colori,
brillanti, decisi e vivaci.
Avevo una scatola di colori,
alcuni caldi, altri molto freddi.
Non avevo il rosso per il sangue dei feriti.
Non avevo il nero per il pianto degli orfani.
Non avevo il bianco per le mani e il volto dei morti.
Non avevo il giallo per le sabbie ardenti.
Ma avevo l’arancio per la gioia della vita.
E il verde per i germogli e i nidi.
E il celeste dei chiari cieli splendenti.
E il rosa per i sogni e il riposo.
Mi sono seduta e ho dipinto la pace.
“Ho dipinto la pace” è una poesia scritta da una ragazzina israeliana di circa 13 anni, Talil Sorek, che era usa a portarla nello zainetto, nei giorni della Guerra del Kippur (6-25 ottobre 1973). Talil esprime con parole semplici e toccanti la reazione di una bambina davanti alla guerra. C’è il rifiuto del dolore, delle atrocità e delle sofferenze, evidenziati dai colori “molto freddi”. Ma, attraverso i colori “brillanti, decisi e vivi”, lei riesce a far prevalere il sogno e il bisogno di pace.
Se dovessi morire fa che io sia un racconto
Refaat Alareer, palestinese (2023)
Se dovessi morire
tu devi vivere
per raccontare la mia storia
per vendere le mie cose
per comprare un po’ di carta
e qualche filo per farne un aquilone
(fallo bianco con una lunga coda)
Cosicché un bambino, da qualche parte a Gaza
guardando il cielo negli occhi
in attesa di suo padre che
se ne andò in una fiamma
senza dare l’addio a nessuno
nemmeno alla sua stessa carne
nemmeno a se stesso
veda l’aquilone, il mio aquilone che tu hai fatto volare là sopra
e pensi per un momento che un angelo sia lì
a riportare amore.
Se dovessi morire,
fa che porti speranza,
fa che sia un racconto!
Refaat Alareer era un poeta e attivista palestinese. Insegnava letteratura e scrittura creativa all’università islamica di Gaza. Fu uno dei fondatori di We Are Not Numbers, un’organizzazione che metteva in contatto autori internazionali affermati con giovani scrittori di Gaza.
Alareer ebbe una vita profondamente segnata dal conflitto con gli israeliani. Durante la guerra di Gaza del 2014 il fratello, così come il nonno, il fratello, la sorella e tre nipoti di sua moglie Nusayba furono uccisi dai bombardamenti israeliani che distrussero la loro casa.
Alareer era noto anche all’estero. Il 13 maggio del 2021 il New York Times aveva pubblicato un suo articolo (lo trovate in questa stessa News Letter) nel quale raccontava cosa significa per una famiglia vivere sotto l’incubo della guerra. Il 16 novembre 2021 lo stesso giornale pubblicò un articolo di plauso per il professore palestinese che nelle sue lezioni si diceva parlasse bene di una poetessa israeliana (Yehuda Amichai), la quale – a suo parere – sottolineava la condivisa umanità di ebrei e palestinesi. Ma successivamente il New York Times rettificò la notizia sulla base della registrazione di una lezione precedente in cui Alareer definiva “orribile” e “pericolosa” la poesia dell’autrice israeliana. Interpellato egli negò che ci fosse un contrasto fra i due giudizi, ma i dubbi del giornale rimasero.
Tra gli israeliani Alareer era invece noto per aver pubblicato commenti pesantissimi su Israele e i suoi cittadini che egli considerava “peggiori della Germania nazista”. Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 egli lo ritenne “legittimo e morale”, paragonandolo alla rivolta del ghetto di Varsavia. La poesia qui riportata era stata scritta l’1 novembre 2023. Il 4 dicembre in uno dei suoi ultimi post egli ha scritto: “Vorrei essere un combattente per la libertà, quindi muoio combattendo contro quei maniaci genocidi israeliani che invadono il mio quartiere e la mia città”. Due giorni dopo, il 6 dicembre 2023 è stato ucciso durante un raid aereo che ha colpito la sua casa. Con lui sono morti il fratello e un figlio di lui, la sorella e i tre figli di lei. Lascia sei figli.