Il Corriere della Sera, 3 novembre 2023
L’ex ministro degli Esteri tedesco: «Servono sforzi diplomatici titanici. Israele non ha altra scelta che reagire militarmente, per ripristinare le sue capacità di deterrenza»
BERLINO — «È difficile non pensare al 1914, quando gli eventi presero una dinamica incontrollabile e precipitarono nella Prima guerra mondiale», dice Joschka Fischer pesando una per una le parole. L’ex ministro degli Esteri tedesco, da sempre attento osservatore del Medio Oriente, non nasconde grande preoccupazione e pessimismo, di fronte alla crisi di Gaza, che «spinge l’intera regione sull’orlo di un conflitto generale».
La guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina è stata soltanto la prima tessera di un domino, che «sta mettendo definitivamente in crisi la pax americana post-1945» e innescando una «nuova polarizzazione geopolitica in cui nessuno otterrà vantaggi». C’è secondo Fischer «un impressionante parallelo» tra la guerra in Ucraina e quella in corso nella Striscia: «Entrambe hanno al centro una lotta esistenziale per la sopravvivenza di uno Stato nazionale».
L’ex vicecancelliere è convinto che l’Iran abbia avuto un ruolo di regia e supporto decisivo nel brutale attacco di Hamas e che Israele «non abbia altra scelta che reagire militarmente, per ripristinare la sua capacità di deterrenza», nonostante questo stia costando un numero elevato di vite umane e scavando un solco di odio ancora più profondo tra le due parti. Questo, sostiene Fischer, era proprio «l’esito sperato da chi ha pianificato e messo in atto il blitz terroristico del 7 ottobre».
Ma alzando lo sguardo, Ucraina e Gaza confermano che stiamo assistendo all’emergere di un nuovo ordine mondiale, ove l’Occidente è schierato al fianco di Kiev e Tel Aviv, mentre potenze come Cina e Russia come quasi tutto il cosiddetto Sud Globale si allineano sul fronte opposto. «È una dinamica che l’Occidente semplicemente non può permettersi di accettare», ammonisce Fischer, secondo il quale «occorrerà mettere in campo sforzi diplomatici titanici per fermarla». Sforzi nei quali bisognerà tener conto della domanda di riconoscimento e di «un posto a tavola» che viene dal Sud Globale.
Anche perché i due conflitti maggiori non avvengono nel vuoto. Contemporaneamente, potenziali focolai di guerra covano nel Caucaso tra Azerbaigian e Armenia, nei Balcani tra Serbia e Kosovo, in Africa nel Sahel dove una serie di golpe militari e il ritiro strategico della Francia hanno precipitato l’area nel più totale caos. Non ultimo, ricorda Fischer, «cresce il pericolo di uno scontro militare nel Mar della Cina e nello Stretto di Taiwan, nel quale finirebbero per essere direttamente coinvolte le sue Superpotenze americana e cinese».
E qui, l’ex ministro degli Esteri invoca la lezione della Storia: «I tentativi di spostare gli equilibri del potere globale e imporre un nuovo ordine internazionale non sono mai avvenuti senza violenza. Questo rende i toni reciproci delle grandi potenze più aggressivi e tanto più preoccupanti».
I Paesi che sfidano la pax americana vogliono sfruttarne le debolezze: «La volontà della comunità internazionale di mantenere lo status quo è notevolmente diminuita. L’ambizione prende il sopravvento sulla ragione, che ancora una volta diventa ostaggio delle passioni nazionaliste e religiose».
Quello che vediamo oggi è soltanto «uno scampolo di un mondo senza ordine». Fischer loda però la «leadership prudente e sperimentata» del presidente americano Joe Biden, che molti vorrebbero ridicolizzare per la sua età, e si chiede cosa succederebbe in questa crisi mediorientale in sua assenza: «Il mondo sarebbe ancora più incerto e pericoloso di quello che è».