Australiani e cinesi investono su un progetto che presto potrebbe fare del paese saheliano il terzo produttore al mondo del metallo. Ma complici i costi e la complessità del processo di trasformazione della materia prima, il continente è destinato a rimanere ancorato alle importazioni di batterie dall’estero
Un terreno di 100 km² situato nel circondario di Bougouni, regione di Sikasso, estremità sud del Mali. È qui che si trova il giacimento minerario di Goulamina, gestito dalla società Leo Lithium, joint venture creata a metà 2021 dall’australiana Firefinch e dalla cinese Ganfeng. Si stima che questa miniera possieda 108 milioni di tonnellate di litio, elemento chimico del gruppo dei metalli alcalini, componente necessario per accendere le batterie dei nostri smartphone, ma anche i motori dei veicoli ibridi ed elettrici. Australiani e cinesi investiranno nello sviluppo del Goulamina Lithium Project 250 milioni di dollari. L’obiettivo è arrivare a estrarre dalla miniera nell’arco della sua vita – poco più di vent’anni – una media annua di 436mila tonnellate di concentrato di spodumene, che potrebbero arrivare fino a 726mila. Una volta a regime, questo giacimento farebbe del Mali il terzo produttore al mondo di litio, permettendogli di coprire il 15% della produzione globale. La cronica insicurezza di questo paese saheliano, i continui golpe militari e rovesciamenti dei governi, i ripetuti stop al rilascio dei permessi per la ricerca mineraria, non sono dunque stati finora di ostacolo al progetto. Al punto che per posarne la prima pietra, nel giugno scorso, si è scomodato, in persona, il ministro dell’energia, delle miniere e dell’acqua Lamine Seydou Traoré.
L’asse con il porto di Abidjan
Il partner cinese della joint venture, Jiangxi Ganfeng Lithium, leader mondiale del settore, metterà sul piatto un finanziamento di circa 194 milioni di dollari per lo sviluppo della miniera. Tanti soldi che hanno permesso di avviare la costruzione di un impianto di trasformazione del litio in loco che presto potrebbe fare di Leo Lithium il principale esportatore in tutta l’Africa occidentale, in attesa dell’entrata in produzione di un’altra grande miniera, situata sempre nel circondario di Bougouni ma più a nord rispetto a Goulamina, gestita dalla britannica Kodal Minerals. Entro la fine di quest’anno sono previste le prime spedizioni al porto autonomo di Abidjan, da dove transitano già carichi di clinker, manganese, bauxite e nichel diretti agli impianti di trasformazione occidentali e asiatici. Belgian Sea Invest, gestore del terminal minerario dello scalo ivoriano, nel novembre 2022 ha raggiunto un accordo con Leo Lithium per occuparsi della movimentazione e dello stoccaggio dei suoi carichi per i prossimi dieci anni. Per rispettare i patti, nel terminal sono in corso i lavori per aumentare da 200mila a 300mila tonnellate la capacità di stoccaggio entro 9 mesi, in modo da garantire l’esportazione di oltre 3 milioni di tonnellate di metallo all’anno. Nel porto è stato inoltre realizzato un sistema di chiatte lagunari che consente di trasferire fino a 100mila tonnellate di merci sulle navi ancorate fino a 14 metri di pescaggio, il doppio del normale carico in banchina.
Altro elemento che ha fatto cadere sul porto di Abidjan la scelta di Leo Lithium sono state le infrastrutture stradali che lo collegano a Bamako in meno di 24 ore. Un valore aggiunto rispetto ai porti di Dakar (Senegal) o Tema (Ghana), più difficili da raggiungere.
Corsa in affanno per l’Africa
La crescita del valore del litio a livello globale dipende principalmente dall’uso sempre maggiore che ne viene fatto per la produzione delle batterie che alimentano i device di ultima generazione. Nel 2008 il litio copriva solo il 20% di questo mercato, ma entro il 2030, secondo le stime dello United States Institute of Geological Studies, questa percentuale aumenterà fino all’85%. Se nel gennaio del 2021 una tonnellata di litio valeva 6.400 euro, oggi quel valore è già passato a 65mila euro. Attualmente a spartirsi la produzione mondiale di litio sono Australia, Cile e Cina che nel 2019 hanno estratto rispettivamente 45, 19 e 11 milioni di tonnellate. Complice l’aumento della richiesta, da qualche anno a questa parte i radar delle grandi compagnie minerarie internazionali si sono rivolti anche all’Africa. Solo la Cina dal 2021 ha investito in tre importanti progetti nel continente, compreso il Goulamina Lithium Project.
Gli altri progetti africani
Oltre al Mali, gli altri paesi più attenzionati sono Rd Congo, Angola e Zimbabwe. In Angola, il gruppo australiano Tyranna Resources ha annunciato l’intenzione, a inizio 2022, di acquisire l’80% delle quote del Namibe Lithium Project. Mentre in Zimbabwe la società cinese Zhejiang Huayou Cobalt ha investito 378 milioni di dollari per acquistare dall’australiana Prospect Resources i diritti di sfruttamento della miniera di Arcadia. Al momento, però, a eccezione del Manono Project, situato 500 chilometri a nord di Lubumbashi nel sud della Rd Congo, e in prospettiva del Goulamina Lithium Project, nelle altre miniere africane si effettua la sola estrazione del metallo grezzo. Gli elevati costi e la complessità dei processi di trasformazione della materia prima tagliano fuori l’Africa dalle catene di approvvigionamento, nonostante le immense riserve di cui dispone. La domanda continentale di batterie per i dispositivi elettronici resta così ancorata alle importazioni dall’estero. Ennesimo caso di una filiera spezzata alla fonte.