Il caso tunisino descrive bene lo sforzo in atto da parte di paesi europei come il nostro per trasferire su quelli della sponda sud del Mediterraneo la funzione di controllo delle frontiere, garantendo loro sostegni economici, al fine di esternalizzare i propri confini meridionali. Il Nord Africa diventa così zona cuscinetto per l’Europa e ciò conduce ad effetti collaterali come l’esplosione del razzismo.
L’articolo di Mannocchi e quello di Moual parlano entrambi della situazione creatasi in quel Paese, allargando – il secondo – lo sguardo a Marocco ed Egitto. Kais Saied, l’autoritario presidente tunisino (esautorato il parlamento e sciolti i consigli comunali), ha pronunciato in febbraio un discorso infuocato contro i migranti provenienti dall’Africa subsahariana, risvegliando il tradizionale razzismo degli arabi contro i neri, cui ha fatto seguito nel Paese un’ondata di violenza. Con ciò egli cercava di occultare la gravissima situazione economica della Tunisia, oberata di debiti e colpita da una forte carenza di derrate alimentari in conseguenza degli effetti dell’invasione russa dell’Ucraina. L’atteggiamento del presidente tunisino è stato condannato dall’Unione Africana e ha condotto il FMI a bloccare a tempo indeterminato il finanziamento previsto (1,9 miliardi di dollari), nonostante il forte sostegno politico di Italia, Francia e Unione Europea. Meloni ne ha parlato anche al G7 di Hiroshima: “Se questo governo va a casa noi abbiamo presente quali possano essere le alternative?”. L’Italia ha perciò confermato la collaborazione bilaterale che pone il nostro governo in prima linea nel sostenere l’attività di controllo delle frontiere esercitato dalla Tunisia.