Oppressi come siamo e preoccupati dal ritorno della guerra in Europa finiamo per parlare solo di questo fino a dimenticarci del resto del mondo, vittime inconsapevoli della distinzione, anche comprensibile, ma che non può essere protratta oltre un certo punto, tra conflitti di serie A – quelli che ci sono vicini o possono pregiudicare gli equilibri globali – e di serie B – quelli che ci sono lontani o colpiscono almeno in apparenza “solamente” le popolazioni del posto.
Con l’incontro del 17 giugno vogliamo provare a reagire a questa tendenza. Parleremo dell’Africa, o almeno di una parte di essa, un continente così vicino e che pure trattiamo come se fosse così lontano. Perché, se solo proviamo a gettare uno sguardo oltre questo mare interno che chiamiamo Mediterraneo, comprendiamo di nuovo che “tutto si tiene”, che le questioni dello sviluppo, della fame e della povertà, dei cambiamenti climatici, della decolonizzazione, delle migrazioni, della caccia alle materie prime, dei rapporti tra potenze grandi e piccole che si contendono gli spazi geostrategici trovano in Africa connessioni che ci riguardano da vicino e che per troppo tempo i paesi europei hanno trascurato o, peggio, hanno sfruttato in modo miope, nel palese tentativo di spostare verso sud le proprie frontiere reali.
Vorremmo anche tentare di andare oltre una certa immagine pauperista che ci impedisce di vedere come il continente più giovane, in cui tra pochi decenni vivrà un abitante sulla terra su quattro, è uno spazio nel quale si manifestano creatività e vitalità, nascono nuove ricchezze culturali e si affermano istanze che richiedono sia loro riconosciuta finalmente tutta la dignità che meritano, mentre ci domandano di non dimenticare un passato coloniale, a loro ben presente, in cui le potenze europee hanno svolto un ruolo che siamo continuamente tentati di rimuovere.
C’è tutto un mondo laggiù da scoprire e non solo per vedere in che misura i nostri interessi vengono minacciati o per capire come affermarli meglio, ma per aprirci a quello che quel mondo ha da dire all’umanità intera e in particolare a noi paesi europei, un tempo colonizzatori, oggi invecchiati, stanchi e da ciò portati troppo spesso a vivere ciò che cresce altrove come una minaccia.