La chiesa italiana e quella universale è impegnata nel sinodo, voluto fortemente da Papa Francesco.
C’è un’obiezione ricorrente in proposito, quella di chi teme una chiesa troppo ripiegata sui problemi interni, mentre sinodo significa camminare insieme, fare cammini comuni non solo tra i cattolici, popolo e pastori, ma con tutti gli altri, costruendo percorsi ecumenici, interreligiosi, interetnici e interculturali, che promuovano una migliore qualità della vita e delle relazioni nella famiglia umana.
A dispetto delle previsioni e dei timori, delle resistenze e dell’avvio problematico, la lettura di quanto sta emergendo nei testi riassuntivi della prima fase di ascolto, provoca più di una sorpresa. Un’impressione che il disgelo sia avviato. Ne testimonia l’ascolto arrivato oltre il perimetro dei praticanti, l’affermazione che la sinodalità è forma della chiesa, che si fonda su un ascolto reciproco, affinato dalla famigliarità con la Parola di Dio di cui sono destinatari attivi tutti i battezzati, che il linguaggio e il tono, troppo astratti e giudicanti, vanno rivisti e la liturgia resa più accessibile e coinvolgente, che le donne vanno integrate e valorizzate, che le diversità e le marginalità vanno accolte e coinvolte, che il ruolo dei pastori va ripensato e il pluralismo custodito.
D’altronde e questo giustifica una certa concentrazione dell’attenzione alle questioni interne, la situazione della chiesa impone uno sforzo di ripensamento di se stessa, del proprio modello organizzativo e della propria autocomprensione e comunicazione, che sono debitrici di una storia passata, che sentono l’usura del tempo, che rappresentano più una barriera che un veicolo alla missione di portare il Vangelo alle persone.
Nel processo di ripensamento di strumenti e di identità, la via è già stata tracciata dal Concilio, che ha posto le basi su cui continuare il cammino: la Parola di Dio (Dei Verbum) e il Popolo (Lumen Gentium). La Parola attraverso la quale Dio si comunica a tutti e il Popolo regale, sacerdotale e profetico, che ne è il destinatario particolare, l’interprete e il banditore. Accanto a queste due “P” già al Concilio faceva capolino una terza: i Poveri e i Piccoli, i primi tra i destinatari. La piccolezza e la povertà non solo come atteggiamento fondamentale della Chiesa, che la rende strumento del Vangelo e capace di ascoltare, prima che di annunciare, nonché come oggetto primario della sua sollecitudine, ma come categoria teologica, che attiene alla comprensione di Dio e del suo manifestarsi in Gesù Cristo.
In questo impegno di nuova autocomprensione della Chiesa, oltre alla Parola di Dio, non possono mancare il contributo della scienza, della filosofia e dell’antropologia alla maggiore comprensione dell’universo e della persona umana. Si pensi ad esempio alla dialettica finito-infinito, in rapporto alle nuove conoscenze riguardo al cosmo e alla materia. Ma anche a quella tra essere e divenire, che tanto ha contribuito nei secoli ad offuscare il senso del cambiamento e della storia. Per non parlare di quella tra anima e corpo, che ha cancellato la concezione unitaria di persona che attraversa tutta la bibbia, creando un sacco di distorsioni. Per finire con quella tra bene e male, per le derive manichee che ha comportato, di cui ancora sentiamo gli echi nell’approccio alla storia della salvezza e alla morale.
Papa Francesco ha smosso un po’ le acque, uscendo dalle prigioni dualiste, o almeno provandoci. Accanto alla grande metafora del cammino, da lui proposta, che fa giustizia di tanto immobilismo, ma anche di proiezioni astratte e scoraggianti della salvezza, va segnalato senz’altro il rilancio del discernimento, come metodo di valutazione che non separa, scarta e condanna, ma integra e promuove. Altra chicca è rappresentata dal rilancio della nozione di “eccedenza”, per descrivere la relazione tra Dio e il creato e la persona umana.
Il disgelo è avviato, il cantiere è aperto, tocca lavorarci e non è solo una cosa per ecclesiastici e devoti.
settembre 2022