Contributo di Roberto Tommasi

Come Mounier – citato prima da Sandro, che ringrazio per il quadro giustamente aperto e problematico che ci ha offerto, fatto soprattutto di domande le quali però mostrano delle direzioni di ricerca per il pensare e per l’agire – anch’io sto vivendo il tempo presente con una coscienza lacerata: questa guerra pericolosa, vicina a noi come non mai  – almeno a me che, come molti, da quando sono venuto al mondo sono sempre vissuto in uno spazio di pace – e contrassegnata da una prepotenza cieca e da reiterati atti di efferata, oscena e gratuita crudeltà, crea in me sofferenza e incertezze nel pensare: pertanto le riflessioni che vi propongo sono anche interrogativi aperti e come tali ve li offro.

1. Riferendosi a un intervento di Brunelli, Sandro ha parlato di “come fermare Putin”. Secondo me tuttavia l’obiettivo, costruttivo di pace, che in quest’ora tutti dovremmo avere innanzi e sul quale dovremmo, ciascuno per sua responsabilità e parte, lavorare con impegno anche a prezzo di qualche sacrificio personale e comunitario, non è e non può essere semplicemente “come fermare Putin” (una tale prospettiva non risulta piuttosto unilaterale e perciò alla fine improduttiva se non controproducente in ordine al bene supremo della pace?), ma piuttosto “come fermare questa guerra?”; con ciò che essa significa in termini di morti, di sofferenze e distruzione, di rottura di equilibri umani e sociali presenti e futuri. Questo chiede, attraverso il dialogo e negoziazioni, sia di convincere Putin e i suoi, sia di convincere coloro che sono gli aggrediti da Putin e i suoi (i quali in questi momenti si sentono nella necessità legittima di difendersi e stanno peraltro rispondendo all’aggressione in un modo che – se sono vere le ultime notizie – non è solo ‘di difesa’, ma risposta simmetrica all’aggressione ricevuta fino a spingersi dentro il territorio dell’aggressore) a volere, cercare e fare tutto il possibile per la cessazione della guerra, a garanzia di una convivenza pacifica. A tal fine occorre che si facciano avanti negoziatori terzi accreditati e autorevoli e occorre che la gente – della cui opinione i governanti non possono non tener conto – abbia il più possibile a disposizione informazioni verificate (c’è purtroppo del vero nel detto secondo cui la prima vittima di una guerra è la verità!) e capaci di far percepire la complessità di ciò che è in gioco sui vari fronti in modo da poter essere attenti all’evolversi continuo delle situazioni e al mutare degli scenari. Posto questo è però del tutto evidente che il problema serio è quello del come, del per quali vie raggiungere l’obiettivo individuato e auspicabile, e intraprendere nuovi sentieri di pace. Qui le interpretazioni, le ipotesi, le considerazioni sono legittimamente tante e differenti, come differenti sono gli elementi in campo; si tratta di trovare insieme (e in tempi che non lascino dilagare la morte e le aggressioni) percorsi comuni al fine di agire il più possibile uniti nel perseguire lo scopo. Non contro qualcuno, ma per fermare la guerra e per la pace, che è ben più di assenza di guerra e non belligeranza. Pena il fallimento.

2. Riconosciuto che non mi intendo di relazioni internazionali, né di geopolitica o affini se non nella misura in cui ogni cittadino può saperne e capirne qualcosa, mi permetto di osservare che nei discorsi sin qui fatti tra noi non mi sembra siano stati evocati direttamente e con il peso che meritano i Paesi asiatici, africani e sudamericani. Potrebbe così sembrare che nel nostro discorso tutto si risolva in una questione “occidentale”, tra Russia, Ucraina, Europa… al massimo America. Sappiamo come quest’ultima gioca un ruolo – ai miei occhi non sempre così limpido – più profondo e nascosto di quello che ci è dato credere. Sarebbe un errore escludere quei Paesi o almeno quelli di essi che vogliono esserci. Le proporzioni di quanto sta accadendo già ora in Ucraina sono infatti globali e toccano, pur se in modi e misure diversi, Paesi delle diverse latitudini del mondo. Pertanto altre grandi o meno grandi «forze» operanti nel mondo accanto a noi occidente – fatta salva la loro libertà di scegliere se e come mettersi in gioco – non vanno sottovalutate o escluse dall’impegno comune di fermare la guerra e di costruire un mondo più pacificato. A fronte di un conflitto che ha un potenziale di allargamento possibile – Dio non voglia! – fino a correre il rischio di diventare mondiale, propiziare progressivamente e proporzionatamente un’azione mondiale il più possibile concertata in vista della pace appare potenzialmente decisivo. Qualche passo in questa direzione qualcuno lo sta timidamente tentando, ma si può fare di più, pur consapevoli che gli interessi dei Paesi che possono essere disponibili sono in parte differenti e che, date queste diversità, agire in modo sinergico per fermare la guerra sarà un atto complesso, impegnativo e di lungo periodo. Nella difficile situazione che stiamo vivendo e nei tempi veloci in cui bisogna reagire qualche spunto utopico, qualche investimento di speranza e l’invenzione di qualche nuovo processo e categoria di pensiero ci vogliono per non ridurci a percorrere solo strade già viste, spesso fatte di calcolo di interessi di parte che non sempre si sono rivelati alla fine così fruttuosi (ciò non vuol dire che non si debba tenerne conto).

  1. Le cose che ho sin qui tentato di dire mi sembrano da confrontare con l’idea di ‘forza’ che è già stata en passant evocata. Cioè nel mezzo di questa situazione di guerra, che ci interpella così fortemente, diventa necessario misurarci col fatto che i rapporti tra gli esseri umani e tra le società e gli stati sono rapporti che si giocano sul piano della forza(e) e del potere(i). Cosa che non è in sé né un bene, né un male: è semplicemente un dato di fatto che può giocare per il bene o il male (il bene supremo per l’umanità che è la pace e la fraternità senza delle quali non si danno altri beni) e senza la considerazione del quale tutto si riduce a vuota retorica. Dicendo ‘forza’ (o ‘potere’) penso alle capacità e produzioni dell’agire umano o della natura (attesa la differenza che contrassegna questi due tipi di azione) che influiscono sullo spazio umano e naturale. Nel caso delle guerre la forza mortifera che si scatena è anzitutto il prodotto di azioni umane e di deliberazioni umane (individuali e collettive), prolungate/amplificate da una serie di strutture sociali, economiche, militari, etniche, religiose ecc. che paiono in larga misura strumenti per l’agire umano, ma sono anche e ad un tempo espansioni della capacità umana e si costituiscono in apparati che  – in quanto ogni azione e produzione umana, una volta agita e prodotta da me/noi, permane, agisce, produce oltre me/noi, in parte recando in se la traccia del suo autore, in parte operando indipendentemente da esso e dalle sue intenzioni iniziali – si impongono all’agire umano. Anche da questo punto di vista l’agire umano non è così sovranamente libero come si potrebbe pensare e la gestione delle azioni e interazioni e dei loro intrichi (come è evidente nel caso di una guerra) diventa assai difficile da governare. A proposito di questa forza e più ampiamente del gioco delle diverse forze in campo nello spazio del mondo (in quanto ‘forza’ di per sé fa riferimento all’ampio spettro delle diversificate espressioni dell’agire umano o della natura) quello che sta succedendo in Ucraina rende per me evidente che, anche se io/noi (forse per garantirci una certa comodità) pensiamo e viviamo più o meno illuministicamente nell’illusione che tale forza connessa all’umano sia originata e orientata da una base razionale e pertanto “buona” (dalla ragionevolezza potremmo dire, o per dirla in termini più cinici da dei calcoli che facciamo o si fanno in noi o possono fare gli altri) che permetterebbe e assicurerebbe il controllo di ciò che accade, in realtà nel gioco delle forze (anche di provenienza umana) non tutto è sempre razionale; vi è anche irrazionalità (il non razionale, il cieco): ad esempio chi può dire che sia razionale – o non piuttosto folle – far soffrire e uccidere deliberatamente e addirittura in forme pianificate un uomo o una molteplicità di uomini con crudeltà ed efferatezza immotivate? O che lo sia progettare e costruire un potenziale di armamenti, anche nucleari, capace di distruggere più e più e più volte la vita umana esistente sulla terra? Tale irrazionalità dipende sia dal fatto che elementi imprevedibili e imponderabili si insinuano nella storia (si pensi a come uno, in base ai suoi calcoli, va in guerra convinto di vincere anche se poi non è detto che le cose vadano così) e nella natura, sia dall’evidenza che un ruolo di peso nella costruzione delle relazioni umane e delle interazioni tra i popoli viene esercitato dal gioco, spesso contrastato, delle volontà di potenza individuali e collettive, con tutto ciò che questo implica. Noi razionalmente possiamo ad esempio parlare e accordarci con Putin o con Zelensky o con altri, ma loro possono, magari anche perché devono anch’essi tener conto di altre volontà accanto alla loro, fare subito dopo tutt’altro da quanto accordato. Come si sta dimostrando. Tutto questo amplifica la serietà e la difficoltà della situazione attuale. Qui per altro viene in luce qualcosa di ulteriore che ritrovo anche in papa Francesco: emerge che cosa si nasconde – usiamo una parola ingenua e semplificatrice – nell’animo dell’uomo. C’è, da lì scaturisce, come dicono anche le Scritture, la possibilità di bene e la possibilità di male, ovvero la capacità di improntare il proprio agire e la propria forza alla volontà di accoglienza, di rispetto dell’altro e della sua libertà, di mitezza, di dialogo, di dono, di servizio, di edificazione, in una parola alla volontà di vita oppure alla volontà di dominio, di umiliazione dell’altro e della sua libertà, di arroganza, di odio, di sfruttamento, di pretesa di servirci della vita altrui, di distruzione, in una parola alla volontà di morte. Il problema dell’etica va posto a questo livello piuttosto che sul semplice piano dei valori, perché per quanto riguarda i valori spesso e in particolare in situazioni come la guerra accade che ognuno si fa “suoi” i valori, quelli che gli fanno comodo e magari lo contrappongono all’altro: Putin e Zelensky, ad esempio, nei loro discorsi sbandierano i valori alla base dell’azione che vogliono promuovere a prescindere che essi stessi ci credano o meno. Il problema non è pertanto quello di riaffermare i valori come realtà oggettive o semplicemente consolidate/tramandate in una tradizione sociale, ma quello di costruire un’etica della responsabilità e del conseguente rischio con cui, nelle nostre scelte e decisioni, giochiamo e ci giochiamo per la vita o per la morte, per il bene o per il male, per l’umanità o la disumanità. In ciò è convocata la coscienza e la libertà di ognuno di noi. In proposito da cittadino io trovo una guida al discernimento nella Costituzione del mio Paese e nel diritto internazionale (per quanto debole); da cristiano, non posso non affidarmi e affidare l’umanità alla testimonianza di Cristo, il Dio incarnato che nella sua vita e nella sua tragica morte in croce, spese per riunire gli uomini, rispondendo alla prepotenza e all’odio di chi gli stava togliendo la vita, ha manifestato la sua mite potenza e forza rischiando e donando la propria vita nel rispondere al male col bene, all’offesa suprema con il perdono, all’infliggimento della morte con il dono della vita a tutti, anche al suo infliggitore. Sappiamo che quella del Cristo è una testimonianza unica, resa a Dio e al mondo, spesso ignorata e disattesa, ma che sta salda in ogni tempo e luogo e giorno per giorno diventa vivente e vitale in chi l’accoglie con umiltà sprigionando la sua forza riconciliatrice.

Quello che stiamo vivendo, per le caratteristiche di ciò che è in gioco, è un passaggio critico; critico non nel senso catastrofico del termine, ma in quello dell’accadere di una trasformazione inattesa (ma forse preparata da tempo) dei rapporti tra i singoli e i popoli è l’ora che ci chiede di aprirci al nuovo e di mettere in campo una nuova capacità di discernimento, di pensiero e di azione per trovare – anche con uno sforzo di immaginazione – le vie per fermare la guerra e preparare un futuro di pace e tranquillità. Cioè per bloccare, per oggi e per domani, l’uccisione di molti uomini, donne e bambini, aggredite o aggressori, per la mano armata di altre persone, di fratelli che non riescono a riconoscersi tali.