Nella sua relazione al Convegno su fede e politica, organizzato dal Forum di Limena, tenutosi a Marango il 28 settembre 2019, Alessandro Castegnaro diceva: “il problema delle comunità cristiane oggi è solo secondariamente il fatto che non promuovono formazione politica; è che non sono comunità educanti alla politica”. E’ un buon punto di partenza per discutere del rapporto tra fede e politica e delle ragioni delle difficoltà che si incontrano nel promuovere un impegno diretto alla vita politica attiva.
1) Politica come comunità
Perché le comunità cristiane non sono più comunità “educanti” alla politica? La crisi delle ideologie e la conseguente maturità della diaspora dei cattolici, non più riuniti in un solo partito, ha certamente avuto il suo peso. Ma, a distanza di oltre trent’anni dalla caduta del muro di Berlino e a cinquanta dal Concilio, non basta a spiegare perché sia così difficile rendere evidente un impegno collettivo dei cattolici in politica. Precisiamo: “In politica”, perché, invece, nel sociale e nel volontariato la presenza cattolica, organizzata o spontanea, è forte e diffusa, sino a diventare testimonianza riconoscibile e riconosciuta; spesso condizionante le scelte civiche. Si pensi solo allo sviluppo della Caritas o a Migrantes, diventate in molti casi un soggetto quasi istituzionale; interlocutori costanti delle autorità civili locali nelle politiche di lotta alla povertà o di integrazione. La presenza dei cattolici nelle attività sociali non si limita alle Associazioni o organizzazioni di matrice cattolica, ma si diffonde anche in associazioni laiche, quali, ad esempio, la protezione civile o le Onlus di assistenza ai malati.
Il problema, dunque, non è l’impegno civico dei cattolici; quello nella società è costante e diffuso. Il problema è l’impegno in politica!
Quale è la caratteristica unificante che lega le varie forme dell’impegno sociale dei cattolici? Perché, cioè, sono attratti dalla testimonianza civile e non da quella politica? Quello che caratterizza la “militanza” sociale è il senso di appartenenza che coinvolge le persone o i gruppi impegnati nelle attività di sostegno, assistenza e promozione. Sentirsi parte di una missione e di condividerla con altri. Proprio, cioè, il senso di comunità.
La politica attuale sembra non offrire la stessa sensazione, gli stessi sentimenti, a chi la vuole intraprendere, o almeno si pone la domanda se intraprenderla o meno. La vita politica si presenta, ai più, come un percorso di carriera, di conflitto, di aggressività, di scarso riconoscimento dell’impegno, di solitudine. Il cristiano “politico” rischia, in sostanza, di sentirsi non a casa propria, ma ospite, se non addirittura straniero, in terre inospitali.
Insomma, la comunità cristiana non è comunità educante alla politica perché, quando si occupa di politica, non è comunità!
Eppure è proprio su questo aspetto che insiste papa Francesco: “Essere cattolico nella politica non significa essere una recluta di qualche gruppo, organizzazione o partito, bensì vivere dentro un’amicizia, dentro una comunità”. (Papa Francesco, udienza alla Pontificia Commissione per l’America Latina, 4 marzo 2019).
Il senso di comunità è, dunque, la chiave di lettura più utile da cui ripartire. Solo infondendo alla vita politica la cultura e il vissuto comunitario riusciremo a coinvolgere sempre più cristiani in questo “servizio”; il più alto, come è stato più volte e autorevolmente dichiarato (cfr. Paolo VI: “la politica è la forma più alta di carità”, nel discorso in occasione dei 25 anni della FAO; 16 novembre 1970).
Impegnarsi per affermare la politica come comunità (locale, nazionale, europea e globale), viverla come comunità ed essere in essa comunità: Questo sembra essere il difficile compito dei cattolici impegnati e della Chiesa.
2) Comunità non partito.
Viene, ovviamente, spontaneo associare l’idea di comunità a quella di gruppo, di appartenenza, di “stare insieme”. E’, dunque, questo lo sbocco necessario per realizzare un serio impegno cattolico in politica: ricostruire aggregazioni identitarie ed organizzate? A questo punto, il passo verso un “partito” dei cattolici sembra breve…
La questione è cruciale e discriminante. La risposta, a mio parere, va ricercata nella visione che assumiamo della Storia contemporanea, nella quale siamo chiamati a vivere.
Viviamo una profonda transizione di valori, di cultura, economica e sociale. Abbiamo lasciato alle spalle, ormai da un ventennio, il Novecento, il “secolo breve” (E. Hobsbawm), con le sue certezze, morali e ideologiche, le sue scoperte scientifiche e tecnologiche, ma anche coi suoi drammi epocali. Ma, la nuova epoca non trova ancora il suo cammino. La globalizzazione finanziaria, produttiva, ma soprattutto delle comunicazioni, indebolisce le Istituzioni nazionali e internazionali. La morale, il diritto, la democrazia annaspano e non sembrano reggere il confronto con il nuovo mondo digitale.
In questa contemporaneità “liquida” (“Abbandonate ogni speranza di totalità, futura come passata, voi che entrate nel mondo della modernità liquida”, Z. Bauman, “La società liquida”), ovvero nella crisi della comunità e di fronte alla urgente domanda di “governance” – alla quale appaiono tutt’ora insufficienti le risposte dei giuristi, dei filosofi e degli economisti; mentre la politica è inchiodata sulla quotidianità – è ragionevole pensare che le condizioni, i parametri, le modalità per costruire un nuovo “ordine” globale che riconduca le diverse istanze della società a un patto di convivenza condiviso ed accettato, possa essere ricompreso in un’unica opzione politica?
Valori e concetti come pace e convivenza, solidarietà e integrazione sono rinchiudibili in singoli schieramenti o… colori politici? Nella società “liquida” non è il contenitore che trasmette e garantisce il messaggio cristiano e che manifesta la qualità dell’impegno dei cattolici, il loro originale apporto alla qualità della politica e della società, delle istituzioni e delle comunità civiche o professionali e, anche, la loro “forza” in politica; bensì la visione del mondo e del futuro che quell’impegno intende esprimere e realizzare nella testimonianza di una coerenza soggettiva e comunitaria.
Se, dunque, risulta evidente quanto sia necessaria la presenza attiva dei cattolici nella vita politica, risulta altrettanto evidente la necessità di essere davvero “lievito nella pasta”… la pasta del mondo, così come esso si presenta a noi: plurale, spaesato, in cammino…
Non dobbiamo temere la diaspora, dobbiamo temere l’assenza!
3) Pluralismo e unità.
La questione pone, però, la necessità di chiarire la doppia valenza che caratterizza l’originale approccio dei cattolici alla vita pubblica. Quello della “condivisione” e del “distinguo”. Se è vero, cioè, che i valori di riferimento appena citati non sono patrimonio di una sola parte, forza o partito politico, ma possono essere universali; è altrettanto vero che essi vanno storicamente incarnati in coerenze teoriche, di strategia, di linea politica e di comportamenti che fanno sì che non basta dirsi cattolici per esserne legittimati in politica.
L’insegnamento sociale della Chiesa negli ultimi 50 anni è sostanzialmente coerente ed evolutivo. E’ difficile sbagliarsi se si parla di mercato, di profitto, di diritti, di integrazione, di uguaglianza e, con Francesco, si è perfezionato anche il tema dell’ambiente (cfr. “Laudato sì” lettera enciclica, 24 maggio 2015), già introdotto da Paolo VI, proprio nel discorso alla FAO, sopra citato, del 1970! (“noi vediamo già viziarsi l’aria che respiriamo, inquinarsi l’acqua che beviamo, contaminarsi le spiagge, i laghi, anche, gli oceani, sino a far temere una vera “morte biologica”...).
Il tasso di coerenza, nell’applicazione in politica di questi insegnamenti, può essere variabile, dipendere dalle condizioni date; ma la direzione di marcia no! Se, quindi, i valori professati dalla Chiesa sono disponibili ad essere vissuti e praticati dai cattolici impegnati in politica anche in diversi partiti; con forme, modalità e tempi differenti ed accettabili… non tutti i partiti o gli schieramenti camminano nella direzione di marcia indicata. E’ giusto, dunque, “discernere” e riconoscere che il pluralismo dei cattolici in politica è un valore aggiunto; ma che un universalismo senza distinguo è una ipocrisia… e finisce per danneggiare la forza della testimonianza dei cattolici in politica.
Il nostro compito è, dunque, edificare la comunità politica, nella quale i cristiani possano riconoscersi ed agire, garantendo al tempo stesso pluralità e unità. Evitare, cioè, anacronistiche appartenenze di gruppo o di partito motivate dalla comune fede; ma sentirsi, contemporaneamente, parte di un unico cammino e di una sola testimonianza, motivate da una comune condivisione delle opzioni discriminanti.
Non è scontato riuscirci, come dimostra la quotidianità, ma è un tentativo che va fatto.
4) Un impegno totale.
Il tema, ovviamente, non interessa solo i laici. C’è un preciso compito della gerarchia che, soprattutto nei territori, è soggetta, talvolta, al rischio di assecondare, per doveroso rispetto istituzionale, chi governa, tollerandone le incoerenze valoriali per “quieto vivere” o per un generoso, quanto errato, senso di… carità cristiana. Abbiamo, invece, molto bisogno che la gerarchia si schieri, non con questo o quel partito, ma coi valori incarnati. Ciò, però, vuol dire discernere e, appunto, schierarsi.
In questo andrebbe rivalutata una visione più ampia dell’impegno di tutti. In fin dei conti: tutto è politica. Ciò vuol dire che dobbiamo riempire di contenuto politico esplicito anche quell’impegno sociale di cui abbiamo parlato all’inizio. Accrescere, cioè, la coscienza politica dell’impegno dei cristiani, ovunque si manifesti. Non esistono luoghi neutri…
I modi per esercitare, nel mondo contemporaneo, un rinnovato e pieno impegno dei cattolici ad agire sulla politica e attuare cambiamenti tangibili non sono, dunque, univoci: dalla testimonianza diffusa del volontariato, di cui abbiamo già parlato, al – fondamentale – esercizio della qualificazione della circolazione delle opinioni, al lavorare come esperti e consiglieri dei decisori, al sostenere e partecipare a campagne di pressione su leggi e questioni specifiche
Sono tutte forme legittime e pienamente compiute di un impegno; a patto che vi sia la coscienza dell’impatto politico che esse hanno. Affermiamo, dunque, una visione integralmente politica dell’impegno, comunque manifestato (parlando di lavoro Dossetti citava anche il “lavoro orante” per spiegare che anche la vita di clausura ha un suo significato nel disegno della Storia…).
Infine, resta prioritaria la formazione delle classi dirigenti. e, qui, l’affermazione di Castegnaro, dalla quale siamo partiti, si fa stringente. Si è perso il senso educativo. In verità, lo hanno perso anche i partiti e le associazioni di rappresentanza. Fare formazione è la principale strada dell’educazione alla politica. Essere “comunità educanti” vuol dire essere comunità e praticare l’educazione ad esserlo. Se guardo alla esperienza cattolica penso al ruolo svolto dalle settimane sociali o alle scuole di politica, per contrastare la delegittimazione crescente della politica e al suo impoverimento culturale. Ma, penso, più quotidianamente, ai patronati, agli oratori, ai campi estivi… a tutte le forme educative che hanno preparato all’impegno generazioni. Proprio Dossetti spiega, con parole crude, il senso urgente di questo impegno alla formazione: “Aspettatevi delle sorprese ancora più grosse e più globali, dei rimescolii più totali….Quindi attrezzatevi per questo, oppure convocate delle giovani menti che siano predisposte per questo e che abbiano, oltre all’intelligenza, il cuore per questo, cioè lo spirito cristiano. Non cercate nella nostra generazione una risposta, noi siamo veramente solo dei sopravvissuti”. (G. Dossetti – Testimonianza su spiritualità e politica (1993), il Vangelo nella Storia, Milano 2012, pg 104)
4) Hic et nunc.
Tutto ciò è particolarmente avvincente e drammatico oggi. Un “oggi” sconvolto dall’irruzione nella nostra vita della pandemia. Il Covid 19 mette alla prova l’essenza stessa di quell’impegno nella molteplicità di mediazioni storiche tra fede e azione politica quotidiana che siamo chiamati a vivere. La portata morale ed etica della partecipazione alla vita politica dei cattolici è, oggi più che mai, strumento per valorizzarne i valori di fondo dell’uguaglianza e della solidarietà, che in politica sono associati al bisogno di cambiamento e di riformare l’esistente.
La crisi economica e sociale durerà più della pandemia stessa; sicché si allargano le disuguaglianze, aumenta la povertà; si ingrossano le fila – già troppo numerose – degli esclusi dalla transizione globale. Sono le “periferie esistenziali” alle quali ci richiama spesso Francesco. Un’economia sostenibile, dunque, non è più rinviabile. Era già chiaro prima del virus, ora appare inesorabile. Ma una economia sostenibile non può prescindere da uno sviluppo che non sia anche socialmente ed ecologicamente sostenibile.
Bisogna riannodare i fili spezzati che hanno intaccato il rapporto di fiducia tra cittadini e rappresentanti politici, perché senza partecipazione e rappresentanza non c’è democrazia. È un percorso che prescinde del tutto dalla presenza di un partito cattolico, ma attiene alla nostra capacità di riscrivere il significato dell’impegno e di educare le persone, soprattutto i giovani, alla passione per la politica: “Mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella Politica con la P maiuscola!” (Francesco all’Azione Cattolica, il 30 Aprile 2017).