La questione mi interessa e mi appassiona da sempre, dai tempi dello studio della teologia morale sociale, all’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa. Il passaggio attraverso la Gaudium et Spes (GS) è stato ed è fondante, frutto maturo di tutto il Concilio Vaticano Secondo. Dopo la Gaudium et Spes sono arrivati i documenti di Paolo VI, di Giovanni Paolo II; e ora, la posizione – si potrebbe parlare della vision – di Francesco.
A fronte dello studio appassionato si è sempre posta, per me, l’esperienza pastorale: quasi un test di verifica della dottrina; finendo per notare sempre più stonata la dissonanza della prassi dalla dottrina. Sono pertanto d’accordo con le analisi e i racconti del Forum di Limena. Il fatto che rimangano ancora le domande (“Perché fede e politica non si parlano? Come valutiamo questo fatto? Un avvicinamento è auspicabile? Quali forme dovrebbe assumere?…) dice che le risposte elaborate non sono o non sono più soddisfacenti. Molte cose sono cambiate sia riguardanti la politica sia anche riguardanti la fede cristiana.
Propongo solo qualche spunto di riflessione.
Per quanto riguarda la politica la parola stessa è troppo ampia, anzi generica; rimanda a tante cose: città, paesi, governi, leggi, storie, persone, eventi … a esperienze di bene-essere e di mal-essere, di giustizia e di ingiustizia, di diritti e di soprusi. È un caleidoscopio senza fine. E’ certamente effetto della globalizzazione, anche come orizzonte mentale delle persone.
Quando si parla di politica, almeno a nostro livello, è necessario dare nome, localizzare, dare volto e storia e sito a ciò di cui si pensa e si parla. Allora ci si accorge che si tratta sempre di persone, di situazioni, paesi… La politica diventa momento e modo di porre gli occhi (e non solo) a realtà concrete. Politica diventa rapporto con il reale. Da questo primo sguardo “in terra” nascerà poi la consapevolezza e la necessità di livelli diversi e sussidiari delle problematiche in movimento. Nascerà anche la possibilità e la capacità di capire e di farsi capire: l’uomo politico non può essere uno che non è capito e non si fa capire dalle gente “in terra”
Anche nella Chiesa (la chiesa cattolica) sono cambiate tante cose al riguardo; l’insegnamento e le intuizioni stesse del Vaticano secondo non sono “passate”, non hanno creato mentalità, cultura, visioni del mondo e della storia. E’ scomparso dall’orizzonte quel “mondo contemporaneo” che tanto aveva provocato il Concilio e aveva avviato teologie (della laicità e dei laici, della liberazione e delle realtà terrene) e ispirato teologi ed esperienze. Così anche i documenti sociali del magistero sono diventati afoni, e destinati solo a pochi esperti. Gli interessi dei cristiani e delle comunità sono altri!
I pochi cristiani che si sono giocati la vita e la fede nell’impegno politico hanno sperimentato la solitudine dei propri pastori e della proprie comunità; sono rimasti senza alcun spazio e strumento di confronto, di solidarietà; cioè con la fede e la comunità cristiana. Con molta sofferenza.
Tuttavia qualcosa di importante è maturato nella chiesa e ha cominciato a ridurre la distanza tra la fede e la politica, partendo proprio da una “lettura” più appropriata della Parola, grazie all’opera di tanti biblisti preparati e attenti alla Parola di Dio e alle parole degli uomini A mio avviso tutto questo è quanto di più interessante e promettente sta avvenendo oggi nella chiesa (almeno quella italiana) sul versante del rapporto tra la fede illuminata dalla Parola e la vita della e nella polis.
In questo orizzonte l’enciclica di Francesco, “Fratelli Tutti”, è un testo “nuovo”; direi profetico, non solo per il contenuto ma ancor di più – forse – per il metodo.
Siano sufficienti solo alcune sottolineature.
Papa Francesco stesso qualifica il testo come “enciclica sociale” che si inserisce pertanto sulla scia dei grandi documenti; quasi a dire che l’oggi è sempre legato al passato, sia nella storia sia nella dottrina della Chiesa. Si tratta – dice – di un “umile apporto alla riflessione affinché, di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo segno di fraternità e di amicizia sociale, che non si limiti alle parola”(FT. n 6). Da una parte dunque c’è la consapevolezza di non stendere un nuovo trattato dottrinale; dall’altra però l’obiettivo di indicare una strada nuova percorribile, storicizzata nel qui e ora, che tenta di sciogliere il grande gelo. Tenta di coniugare la fedeltà al Vangelo e l’aderenza alla storia; si tratta di scrivere il segmento attuale della storia della salvezza, per il bene dell’umanità di oggi e di domani.
E’ importante notare il metodo che il papa segue: è quello (classico) del discernimento, che nella dottrina di Tommaso d’Aquino e di Ignazio di Loyola riguarda la virtù della prudenza (quella che porta a fare scelte corrette ed efficaci) sia in ambito personale (discernimento personale), sia comunitario (discernimento comunitario), sia politico (discernimento politico).
I passaggi del metodo del discernimento sono ben conosciuti (anche se spesso disattesi… per fretta di arrivare ad una conclusione!): il conoscere la quaestio di cui si tratta, l’approfondimento “culturale”, cioè la ricerca delle radici e delle implicanze, la scelta dei passi, spesso non risolutivi ma efficaci.
Così, il primo capitolo è lo sguardo al mondo in questo momento storico. Risponde al passaggio metodologico del vedere. Sia sufficiente notare qui, l’uso dei termini drammatici che costruiscono il quadro della situazione attuale.
Il secondo capitolo corrisponde al passaggio metodologico del leggere in profondità; è forse il capitolo più emblematico: un vero esercizio magistrale di esegesi biblica. Il racconto del Vangelo di Luca (Lc 10,25-37). E’ una “parabola” che diventa cifra interpretativa di tutta la Bibbia e della sua storia e cifra della storia di oggi. Tutta la Bibbia, che racconta del progetto di Dio che vuole salvare gli uomini è un insieme di storie, di “parabole”; come anche la storia degli uomini non è altro che un susseguirsi di parabole nelle quali il progetto di Dio e i progetti degli uomini si incontrano e si scontrano sempre intrecciate con la libertà degli uomini. “E se estendiamo lo sguardo alla totalità della nostra storia e del mondo nel suo insieme, tutti siamo o siamo stati come questi personaggi: tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza, e qualcosa del buon samaritano” (FT n.69). Una parabola che diventa paradigma di tutte le parabole della storia, e che fa emergere in ciascuno la grande questione, l’opzione di fondo, “che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena” (FT n.67). Pone la domanda: da quale parte stare? “L’esclusione o l’inclusione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani, oppure viandanti indifferenti che passano a distanza” (FT n. 69). E’ quella che la morale chiama “l’opzione fondamentale” dalla quale nascono poi tutte le scelte categoriali in ogni ambito.
I capitoli che seguono costituiscono il terzo passaggio metodologico, l’agire. Il papa sviluppa molto questa parte (ben 4 capitoli) e indica una serie di passi necessari e progressivi che interessano singoli e comunità. Il primo passo (capitolo 3) è “pensare e generare”, cioè creare mentalità, visione del mondo, cultura, sulle persone e le istituzioni. Senza cultura non c’è né politica né (forse) fede. Il secondo passo (capitolo 4) indica il lavorio interiore, quasi una ascetica: per cambiare il mondo si inizia sempre dal cambiare se stessi; occorre cambiare se stessi e costruire la propria vita “con un cuore aperto al mondo intero” nella logica e nella dinamica dell’amore che accoglie e non esclude. Solo così nascono persone capaci de “la migliore politica” (capitolo 5) in grado di cambiare la società. Parla di “amore politico”. Il capitolo 6 infine, indica la strada o metodo: “Dialogo e amicizia sociale”: il dialogo non è una strategia; è il contenuto e il punto di partenza per ogni azione politica, come di ogni esperienza di fede.
Gli ultimi due capitoli “percorsi di un nuovo incontro”; si tratta di proposte educative per giovani e non solo, fatte di esperienze (l’architettura e l’artigianato della pace), di studio (“ricominciare dalla verità”), dalla conoscenza della storia (la memoria), da scelte coraggiose contro l’ingiustizia della guerra e della pena di morte.
Infine, il luminoso capitolo 7 che getta quasi una luce retrospettiva su quanto detto. È il capitolo che interpella “le religioni al servizio della fraternità nel mondo”. Già il fatto di parlare di tutte le religioni e, tra esse, la religione cristiana, è importante. È la condizione per un corretto ed efficace rapporto con la politica. “Un ecumenismo reale che nasce dallo statuto stesso della religione. Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. L’obbiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia, e condividere valori ed esperienze morali e spirituali, in uno spirito di verità e di amore” (FT n.271).
Di conseguenza “senza un’apertura al Padre di tutti, non può nascere, né diventare reale l’attenzione alle persone, la pace, la fraternità sociale.”. Come dire che nella religione, con l’adesione della fede il credente impara e fa suo lo stile di Dio, cioè l’insieme di quei valori morali che costituiscono da una parte l’essenza stessa della religione e dall’altra della politica migliore, iniziando dal riconoscimento della trascendenza innegabile di ogni creatura umana. La religione dunque, non come enunciato di fede e/o di morale, ma come stile di Dio che diventa stile dell’uomo. Per questo è vero “a partire dalla nostra esperienza” che la radice del moderno totalitarismo è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana.
Guardando la fede cristiana, si può dire che da essa non può che nascere “la migliore politica”; e che la politica ha le sue radici e la sua salvaguardia nella migliore verità delle religioni. La violenza politica nasce spesso dalle deviazioni religiose.
Il “Documento sulla fraternità umana per la pace mondiale e la convivenza umana” si pone, a questo punto, come lo statuto di un corretto ed efficace rapporto tra fede (fedi) e politica (politiche), e come antidoto reale ad ogni espressione disumana della politica.
“In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar Al-Sharif – con i musulmani d’oriente e di occidente – insieme alla Chiesa Cattolica – con i Cattolici di oriente e di occidente – dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio” (FT n.285).
Un bell’orizzonte di proposte auspicabili e possibili anche nelle nostre comunità religiose e civili.